ROMA – Mentre arriva, con grande soddisfazione, il via libera alla circolare del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che disciplina le catture dei cetacei, testuggini e storioni, recepita grazie alle istanze proposte da TartaLife, vengono resi noti i risultati di un’indagine realizzata nell’ambito di TartaLife che restituisce l’identikit del “nuovo” pescatore professionale.
Progetto realizzato con lo strumento finanziario del Life+ della Commissione Europea, TartaLife si pone come obiettivo la riduzione della mortalità della tartaruga marina nelle attività di pesca professionale nelle 15 regioni italiane che si affacciano sul mare.
Nello specifico della Caretta caretta specie a rischio di estinzione iscritta nella Lista Rossa della IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura). I pescatori professionali rappresentano, loro malgrado, una minaccia per la sopravvivenza delle tartarughe marine nel Mediterraneo, ma sono anche, grazie a TartaLife, i principali protagonisti della sperimentazione dei sistemi di pesca più selettivi, alcuni di questi messi a punto dal CNR-ISMAR, e tra i principali fautori del successo di TartaLife.
L’indagine conoscitiva è stata realizzata da TartaLife con l’obiettivo di descrivere, in via preliminare, l’interazione dei pescatori con le tartarughe marine e di sondare il consenso sulle azioni di conservazione proposte.
Durante il 2013 sono stati raccolti dal Consorzio UNIMAR in collaborazione con gli altri partner 539 questionari in 13 regioni costiere della penisola: Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto, Calabria.
Il 71% dei pescatori che hanno risposto al questionario afferma di aver pescato nel 2014 almeno una tartaruga e nel 48% dei casi con la pesca a strascico mentre il 34% con le reti da posta.
Le tartarughe sono indubbiamente un elemento di disturbo per i pescatori (circa il 46% lo ritiene tale) ma soprattutto per coloro che pescano con i palangari il pesce spada, il tonno e l’alalunga.
Nell’85% dei casi i pescatori intervistati dichiarano di riuscire a liberare vive le tartarughe mentre il 70% circa dimostra di conoscere e mettere in pratica le basilari nozioni di primo intervento per aiutare un animale catturato accidentalmente custodendolo fino allo sbarco per consegnarlo ai Centri di recupero, alla Capitaneria di Porto o alla Guardia Forestale o, nei casi meno gravi, aspettando che recuperino le energie per liberarle in mare.
Un dato significativo emerge quando ai pescatori viene chiesto se sono a conoscenza di alcuni strumenti di pesca che limitano la cattura accidentale degli esemplari di tartarughe e altre specie. Il 65% dei pescatori intervistati dichiara di non conoscere gli ami circolari nonostante sia dimostrato che il loro utilizzo al posto dei cosiddetti ami a “J” tradizionali, riduca di circa il 70% la cattura degli esemplari di Caretta caretta senza alterare l’efficienza di cattura delle specie bersaglio (pesce spada, tonno rosso e tonno alalunga). La particolare conformazione circolare, infatti, rende più difficile l’ingestione dell’amo da parte della tartaruga, riducendo drasticamente la mortalità indotta da questi attrezzi. In caso contrario, rimanendo impigliato solo superficialmente, l’amo può essere agevolmente rimosso dai pescatori, che in questo modo potranno contribuire alla salvaguardia della specie con delle semplici operazioni da svolgere direttamente a bordo dell’imbarcazione.
L’80% sostiene di non conoscere il TED (Turtle Device Excluded) una griglia cucita all’interno della rete (prima del sacco terminale) che ha il compito di sbarrare la strada alla tartaruga ma non al pesce. Le tartarughe urtando contro il TED ritroveranno la libertà attraverso un’apertura della rete chiusa da un altro panno di rete cucito solo parzialmente.
Nonostante i pescatori riconoscano di essere la controparte più importante per determinare il successo delle iniziative di conservazione ambientale come quella promossa dal progetto Tartalife ritengono nel quasi 55% dei casi ci sia una scarsa informazione e nella stessa percentuale rivela che i pescatori hanno paura di cambiare modo di pescare.
Il 65% dei pescatori intervistati nell’ambito del progetto ha dichiarato il proprio interessa a partecipare al programma di sperimentazione dei nuovi sistemi di pesca. Tuttavia resta ancora da definire l’entità del finanziamento previsto nel nuovo Programma Operativo per la Pesca che potrebbe finanziare l’acquisto dei nuovi attrezzi da pesca.
“I risultati emersi da questa indagine – dichiara Alessandro Lucchetti del CNR-ISMAR e coordinatore del progetto – dimostrano che la cattura accidentale di tartarughe marine è un fenomeno piuttosto comune. I dati relativi ai soli pescatori intervistati ci parlano di 1900 esemplari catturati, con un massimo in estate (624) e un minimo in inverno (380). Il dato, sicuramente influenzato dal campione intervistato, dimostra che il numero di tartarughe catturato è in relazione alla tipologia di pesca e alla stagione. Nel Meridione d’Italia l’attrezzo più impattante risulta essere il palangaro nel periodo estivo, mentre in Adriatico sono le reti a strascico a destare la maggiore preoccupazione, soprattutto nei mesi autunnali e invernali. I dati di cattura ottenuti dalle interviste sono molto probabilmente sottostimati, ma confermano che l’unica strada per contrastare rapidamente il fenomeno è quella di rispondere alla richiesta dei pescatori di maggiore informazione sia sull’uso degli attrezzi più selettivi che sulle questioni tecniche legate alle possibilità di finanziamento. Infine è emersa forte la richiesta di snellire le procedure burocratiche in caso di detenzione di animali durante le operazioni di soccorso che al momento sembrano un ostacolo significativo per convincere i più a partecipare al progetto.