Il 30 dicembre, tornando da Palermo, ho scoperto un panorama surreale. L’intera Valle del Belice imbiancata. Chi era accanto a me ha paragonato gli ulivi spezzati dalla neve, la distesa candida, la strada ghiacciata e l’intero paesaggio agreste alla nevicata del ’68. E partendo da quel quadro bianco ed immacolato è iniziato un viaggio dolce-amaro tra i ricordi del freddo, del dolore, della paura, ma anche dell’orgoglio, della forza, della speranza di quel 15 gennaio 1968. Tutto nella Valle del Belice è scandito tra ciò che era prima e ciò che è venuto dopo quella notte. Notte di terrore e buio fitto, giorni di paura ed incertezza, ma anche di coraggio e di eroica quotidianità. Quando il direttore mi ha proposto di scrivere sull’anniversario del terremoto si sono aperti i più svariati scenari nella mente di questo pipistrello. Una sfida enorme perché dal 1968 ad oggi sul Belice, sul terremoto, sulle vittime e sui morti, sulle sfide per un futuro migliore, si sono scritte intere pagine di giornali, interi manoscritti parlamentari, fiumi di parole nobili ed ignobili, ma adesso cosa rimane? Chi si ricorda degli uomini che hanno visto e vissuto quella tragedia? Cosa abbiamo tramandato alle giovani generazioni di quei giorni interminabili passati nelle tende e nelle baracche? Questo pipistrello ricorda molto, e tutti i suoi ricordi li troverete nelle parole scritte dai protagonisti dell’epoca, che Kleos pubblicherà online nei prossimi giorni. Ma da bravo neofita ex studente di giornalismo del direttore, non posso esimermi dall’accettare la sfida del prof. Bencivinni e conseguentemente di commentarli. Un uomo tra tutti è stato protagonista di quel tempo, era sacerdote divenne vescovo. Mons. Riboldi, direttore responsabile dell’Angelo in Famiglia, dove nel lontano 1971 scriveva “e fu la fine e non principio”, ma soprattutto “il 15 gennaio ho celebrato per i vivi, non per i morti”. Ogni anno ci ricordiamo dei morti, piangiamo la loro prematura dipartita, dimenticandoci di noi; noi che adesso viviamo in case surriscaldate, dove l’impegno civile si è raffreddato. Chi prega per noi? Chi prega per le giovani generazioni che preferiscono oggi come allora un biglietto aereo di sola andata, per lasciarsi alle spalle case maestose che si ergono solitarie in quartieri semiabbandonati? Chi rimane ad ascoltare i vecchi che ancora custodiscono le radici della nostra terra in attesa di un riscatto civile, morale e sociale che non è arrivato? Le parole di quegli anni risuonano nel mio cuore, e mettono alla prova la mia ragione, soprattutto se alla voce del sacerdote, unisco quella del sindaco, diventato senatore nel 1983, in piena ricostruzione, il sen. Vito Bellafiore. Nel 1971, sul Giornale di Sicilia, scriveva: “Quello della casa è il problema che ci assilla di più: ma ci sono altri problemi che devono essere risolti e che ancora aspettano di essere avviati a soluzione. Mi riferisco agli interventi previsti dalle leggi che dovevano essere fatte per la ripresa economica e sociale dei cittadini della Valle Del Belice.” Non solo quella ripresa non si è avuta. Ma la terribile occasione, si è trasformata in opportunità mancata, basti pensare al fatto che manca l’acqua nelle nostre case, come se fossimo tornati indietro a quell’alba del 1968. Basti pensare che la nevicata del 2014, a distanza di 47 anni ci ha trovati impreparati, con sistemi di comunicazione stradale in tilt. Abbiamo condiviso le foto su facebook, ma chi ha condiviso la spesa con i vecchi immobilizzati nelle loro case? Chi ha accompagnato la madre che doveva acquistare il latte per il proprio figlio? Dove erano i mezzi della protezione civile dell’Unione in quei giorni? Quei grandi discorsi di oltre 44 anni fa, qualcuno è riuscito a trasformarli in fatti? Chi ha il tempo e la voglia di analizzare i fatti di quei giorni alla luce di ciò che siamo adesso? Ex baraccati, ex terremoti, quando decideremo di diventare “cittadini” a prescindere da ciò che è stato? O abbiamo deciso di “imbuonare” tutto, per rispolverarlo soltanto ai fini elettorali, e solo a date certe e preconfezionate come quella del 15 gennaio? I problemi del 1968 sono stati risolti o si sono trasformati ed ingigantiti? Ed allora per par condicio, voglio analizzare un’altra voce di quei giorni. Considerato ciò che emerge dalle ultime sedute consiliari santaninfesi, vale la pena ricordare la voce storica istituzionale dell’opposizione consiliare di quell’epoca. Era il 1984, ed il consigliere comunale di opposizione, avv. Vito Trombino scriveva su “Ritrovarsi”. “Non potrà mai mancare l’appoggio di tutte le forze politiche per mediare con il governo nazionale allo scopo di ottenere l’indispensabile copertura legislativa, vale a dire una legge che serva a risolvere ‘tutti’ i problemi connessi alla ricostruzione”. Se apriamo gli occhi e usciamo dal tepore, ci accorgiamo che il problema casa si è trasformato. Case e ville sono fantasmi. Travi di cemento armato senza un’anima che assorbono risparmi e speranze. Paesi fantasma e paesi dormitorio dopo la ricostruzione, senza una vera programmazione strategica condivisa a più livelli. Ma a prescindere da questa amara consapevolezza, oggi, pagine “politiche”, “sociali”, “culturali”, “laiche e cristiane” come quelle citate, chi può scriverle? Siamo diventanti acquiescenti ed equidistanti da ogni forma di lotta “civile”. Siamo gente che ha sopportato per anni le tende, per decenni le baraccopoli e l’amianto, ma ha dimenticato lo spirito “rivoluzionario” di quei giorni; siamo popolo sfruttato e spremuto come frutto acerbo, che non è stato in grado di custodire l’esempio civile di quei giorni; siamo uomini e donne che lavorano per assicurare il futuro ai figli, ma che ha dimenticato che negli stenti è stata trovata la forza; siamo disponibili creduloni innanzi ad ogni promessa politico elettorale, oggi come allora, pronti a confondere i diritti con i favori. Ed anche se queste parole suoneranno inopportune, mi gioco tutto, perché dal comportamento di quei giorni, lo Stato ha imparato una verità essenziale, ma macabra, su questo nostro popolo del Belice, sintetizzata nella prefazione del libro storico di quei giorni. I miei 18 anni nel Belice di Mons. Riboldi. “Ottantamila famiglie costrette per anni a una vita miserabile, nel triangolo industriale avrebbero provocato un’insurrezione: ma la Sicilia è ancora economicamente, sociologicamente, politicamente marginale, quasi non fosse fatta di cittadini a titolo pieno”. Allora dopo 47 anni per i nostri governanti sarà facile provare a rubarci anche l’anima? La nostra anima, quella attuale, quella che si può sentire nel nostro mare, può essere ferita attraverso le trivelle? Il nostro sangue, quello che cola quando coltiviamo le nostre terre, può essere prosciugato attraverso l’introduzione dell’IMU sui terreni agricoli? Il nostro spirito di gente perbene che coltiva la speranza dei frutti dei propri risparmi, può essere mortificato attraverso l’aumento indiscriminato della tassazione locale (IMU-TASI-TARI-IRPEF), senza che in oltre quaranta anni si realizzassero opere ed infrastrutture degne di questo nome? Senza che fossero assicurati servizi essenziali? Innanzi a questi tentativi di rubarci il futuro, chi si indigna e scende in piazza come fecero i nostri padri? Il sindaco Catania ci sta provando. Il sindaco Catania che contesta quel principio contabile ed amministrativo del “pago, vedo e voto”, perché in questi anni noi abbiamo pagato e paghiamo non come ex terremotati o ex baraccati, ma come cittadini contribuenti. Ma se il suo sforzo solitario come presidente dell’Unione dei Comuni e capo del Coordinamento dei sindaci del Belice, non fosse sufficiente? Noi cittadini del terzo millennio, siamo pronti a scuotere chi abbiamo eletto? Siamo pronti a seguire l’esempio morale e civile che è dentro le battaglie che hanno infuocato le nostre piazze dopo il 15 gennaio 1968 ed ad essere protagonisti del rilancio economico di questa terra? Oppure siamo diventati “terremotati dentro”?.
Batman