PARTANNA – Nuovo prestigioso riconoscimento per la poetessa partannese Maria Grazia Alia.La Giuria della XXVIII edizione del Premio per la Pace e la Giustizia Sociale, organizzato dal Centro Studi Cultura e Società di Torino, ha conferito il terzo premio assoluto per la sezione Narrativa breve all’opera di Maria Grazia Alia “Lettera a Teresa”.
La cerimonia di premiazione ha avuto luogo il 30 novembre scorso nel Salone della Palazzina ex Venchi Unica a Torino.
Qui di seguito pubblichiamo l’opera di narrativa premiata.
LETTERA A TERESA
Cara Teresa,
finalmente provo a scriverti; non è facile, credimi, trovare le parole giuste per farlo. Le parole sono dentro di noi, fanno parte dei nostri pensieri dando a essi voce e tempo. Mi ha portato a scrivere proprio la necessità di dare voce e tempo ai tuoi pensieri, a quelle parole che tu, impietrita davanti alla lavagna, non riuscivi a dire per descrivere quale orrore fosse stata la tua vita, nonostante gli incoraggiamenti di medici e assistenti. Posso immaginare cosa tu cercassi di dire.
Mi trovai inaspettatamente davanti a te diversi anni fa, sfogliando un libro per approfondimenti sulla Shoah. La mia attenzione fu catturata da un’immagine in bianco e nero raffigurante una bimba di circa otto anni davanti una lavagna, con un gessetto in mano, nell’atto di disegnare qualcosa. Non capisco: il disegno è un vorticoso ammasso di linee contorte, che prendono l’intera lavagna, linee irregolari e intrigate che non si sa da dove inizino e dove finiscano. A confronto la tela di un ragno appare piacevolmente armonica. La bimba ritratta ha lo sguardo sconvolto, quasi spiritato; sembra agitata e oppressa da grande inquietudine interiore. M’incuriosisco e vado a leggere nella pagina a lato la didascalia dell’immagine: “Teresa, bambina cresciuta in un campo di concentramento nazista e successivamente ospitata in un centro per bambini con disturbi mentali, sta disegnando la sua <<casa>>. 1948 Polonia”. Provai sgomento nel leggere queste parole e restai a lungo a fissare, immobile e profondamente turbata, quegli occhi che mostravano tragicamente tutto l’orrore che avevano visto. Quegli occhi, quella bocca, quel nasino, quel vezzoso fiocco tra i capelli, quel vestitino sporco di gesso e quella manina impegnata nell’ossessivo disegno mi toccarono il cuore. Quella bambina eri tu e per te, piccola Teresa, piansi lacrime amare. Non so se tu sia ancora viva. Il tempo è passato e continua a passare, inesorabilmente. La Shoah fu una voragine di sadismo che inghiottì vite, speranze e sogni. Per uomini, donne e bambini, diventati “ pezzi “ con un vergognoso numero tatuato sull’avambraccio, iniziò un atroce processo di disumanizzazione. Milioni di innocenti finirono in una meticolosa macchina di sterminio, tra l’indifferenza di chi non voleva vedere … e l’indifferenza è da sempre un infido demone. Quelli che riuscirono a scampare all’orrore, duramente provati dal male subito, riscattarono la loro umanità riappropriandosi a stento della loro vita, riconquistando finalmente, dopo penose umiliazioni e assurdi soprusi, la dignità negata e parlando al mondo, perché non si ricadesse mai più nel baratro dei pregiudizi, dell’intolleranza e dell’antisemitismo. Non per tutti è stato facile parlare della mostruosità dei lager e per i pochi testimoni ancora in vita non lo è tuttora; a distanza di molti anni il dolore è un macigno che opprime. Secondo me, le parole, però, contano molto, sono l’antidoto contro l’oblio, ci parlano del passato, sono un monito contro le atrocità della Storia. E il tuo disegno, cara Teresa, sa essere efficace quanto mille parole, ha una tale forza espressiva da turbare chi lo guarda e sa veramente raccontare la cattiveria umana, il male indicibile inflitto a degli innocenti colpevoli di inesistenti colpe, la violenza perpetrata verso uomini inermi fiaccati dalle vessazioni, dalla fame, dal freddo e dalla perfidia; quelle tue linee contorte disegnano urla e terrore, camere a gas, cataste di morti e forni crematori, dicono di vite orribilmente spezzate, di milioni di innocenti ridotti in cenere, cenere al vento. I campi di concentramento erano questo, erano un inferno e tu, che in quell’orrore sei cresciuta, con quel disegno hai guidato e continui ancora a guidare chi lo guarda in un viaggio a ritroso nel dolore, un dolore che annienta l’innocenza genuina dei bambini e che crea fantasmi che non andranno più via. Da allora, da quando seppi della tua esistenza, spesso visiti i miei pensieri. Ho fatto mio il tuo dolore e nel tempo ne sarò testimone.
Ciao Teresa, ti tengo nel cuore e volevo dirtelo.
Maria Grazia Alia