Nella nostra isola non esiste la linea retta: non esistono segmenti di tempo e di spazio: unico è il tempo, continuo lo spazio. In Sicilia le cose si fanno perché gli altri le vedano, le guardino e ammicchino, condividendo col vicino di turno – basta un leggero contatto di gomito – la visione di una donna, di un pezzo di coscia scoperto o di un bottone che sbottona il solco del seno, o la visione di una qualche forma di ricchezza o di potenza. L’ammiccamemto col gomito è un gesto funzionale, ma pleonastico, un richiamo ad un’empatia in cui più l’argomento è comune ai parlanti, meno si ha bisogno di parole.
La Sicilia è più antica delle sue dominazioni. Quando qualcuno è arrivato, ha dominato o ha potuto dominare solo se ha trovato qualcun altro. Non esiste padrone senza schiavi, ma non esiste schiavo senza padrone. Qualcuno qui c’era. Prima di qualcun altro. Di quegli autoctoni – specie in quella che tutti definiscono per mancanza di fantasia “la città belicina”, vale a dire Partanna, (La città dei fossati è proprio di un umorismo eccezionale!) – non sappiamo niente: lo Stretto non solo è stretto, ma è anche muto. La Sicilia affonda nel mito, se il mito ha il senso di racconto come suggerisce l’epistemologia. Di sicuro noi siamo sempre stati inventori, creativi, innovatori una spanna più in su di altri. Abbiamo perfino tentato di superare Dio: abbiamo aggiunto un comandamento, l’undicesimo: fatti i cazzi tuoi che molti volgarmente traducono: a un parmu di lu me culu.. Non sono i siciliani che hanno creato i proverbi, ma i proverbi che hanno creato i siciliani. Non sono i fossati che hanno creato Partanna, ma i partannesi che hanno creato i fossati per far posto alle sterpaglie. Abbiamo un gusto aristocratico per l’abbandono, non c’è che dire. Stesso discorso per i miti. Sono comparsi prima i personaggi e poi le persone.
Ma ciò che non ci rende giustizia è l’attribuzione dell’invenzione della flemma agli Inglesi. E’ la stessa faccenda dell’invenzione del telefono che ha inventato Meucci e che gli Americani attribuiscono a Bell. Eh no. La flemma è cosa nostra.
Un esempio come al solito personale per non immischiare altri. Palermo. Afa. Corro disperato in macchina, ho un appuntamento in via Ruggero Settimo, mi sono perso. D’agosto non c’è nessuno. Finalmente un vigile. Sopra l’unica pedana da vigili rimasta in Europa. Una frenata e con disperazione dico: – Scusi dovrei andare in via Ruggero Settimo! -. Cala un braccio. Lentamente. Tanto lentamente che dieci macchine fanno in tempo a passare. – Mi scusi, ho fretta, dovrei andare in via Ruggero Settimo! -.
Il vigile scende l’orecchio verso la mia voce sudata, io urlo ancora disperato:- Devo andare in via Ruggero Settimo! -. Serafico e lento mi porge la sua voce flemmatica: – E picchì un ci va? -. La flemma gli Inglesi l’hanno imparata da noi.
di Vito Piazza