Di Vito Piazza. Questa volta usciamo dalle mura paesane. E usciamo dai soliti schemi. Ha detto qualcuno che il difficile non è avere idee nuove, ma liberarsi da quelle vecchie.
Perciò in primo luogo avrò come target gli insegnanti della nostra zona, quelli di sostegno in particolare. I maldicenti dicono che non sono preparati. E forse in molti casi è vero. Ma non è colpa loro: è colpa di chi li ha preparati, docenti improvvisati che non sapevano dire altro che con i disabili ci vuole pazienza e amore, dimenticando che il grande Bettelheim oltre a scrivere quello stupendo libro che è “La Fortezza vuota”, ha anche scritto un altro libro, “L’Amore non basta”. Sebbene sia difficile per me dimenticare che mi sono sempre occupato di loro fin da quando dirigevo la scuola speciale per gravi handicappati psicofisici, la famosa TREVES di Milano fino ad avere la responsabilità di tutto il settore integrazione della Lombardia, proverò a fare un ragionamento che dimostra come le idee vecchie sono come l’edera. Oggi nessuno è contro la scuola inclusiva. Da punto di vista giuridico siamo il paese più avanzato del mondo, più democratico del mondo ove si consideri che la vera democrazia non è affermazione della maggioranza, ma rispetto per le minoranze. Eppure il nostro rifiuto per l’handiccapato (lasciatemelo chiamare così, le formule ipocrite tipo diversamente abili, diversabili, speciale normalità ecc. sono solo ipocrisie, come se un cieco non volesse avere la vista invece che servirsi dei “sensi vicarianti”) rimane. Più subdolo, quanto più nascosto. Le idee vecchie, queste ombre lunghe del nostro passato e dei nostri pregiudizi. E stavolta i partannesi sono rei di non aver rivoltato i pregiudizi: hanno visto l’albero, ma non la foresta.
I media hanno pubblicizzato la “pena” inflitta a Berlusconi. No. Non ci si può unire al coro sacrosanto di chi stigmatizza il reo Berlusconi per il trattamento di favore: ciò dimostra solo che aveva ragione Pangloss nel Candido di Voltaire: viviamo nel migliore dei mondi possibili. Perciò l’indignazione corale non riguarda Berlusconi. Sì, è stato mandato “a scontare la pena” in quel cronicario e campo di concentramento di sofferenza che è il centro di Cesano Boscone. Da ex dirigente della scuola Treves-de Sanctis – la cui direzione è stata sempre appannaggio di milanesi puro sangue – che ho trasformata in Centro riabilitativo, ricordo che inviavamo al Centro di Cesano Boscone (La “nostra” famiglia, e non la Sacra famiglia come TV e giornali hanno scritto) i ragazzi ormai troppo grandi e senza speranza. Avrebbero finito là i loro giorni avverando la profezia che un grave disabile ti comunica con gli occhi: “ Io non sarò mai grande e avrò sempre bisogno di qualcuno”.
Quel qualcuno – ci pensate? – sarà ANCHE Berlusconi. Considera il suo servizio – e con lui persone di alto livello compiacenti – una “pena”. E sì: la maggior parte di quelle persone non ha nemmeno il controllo degli sfinteri. Alla Treves vivevamo nella merda e gli insegnanti sapevano bene che in “quei momenti lì” il bambino o il disabile ha bisogno di essere “assistito” vale a dire curato. Mamme, come avete insegnato ad andare in bagno? Prima il vasino poi…
Personalmente mi offro di insegnare al Berlusca il training per il contenimento degli sfinteri. Ma non credo che accetterà dato che non è cosa “pulita” ed è nota la sua limpidezza e onestà. Ma mi piacerebbe che riflettessimo sul piano educativo e scolastico: l’inclusione non esiste. L’integrazione dei disabili è ancora una finalità lontana da raggiungere: è il rifiuto che funziona ancora, che fa parte della nostra subcultura: lavorare con i disabili VERI è considerata una pena per espiare. E allora, per favore, smettiamo di lamentarci degli insegnanti di sostegno. I disabili molto gravi sono stati già puniti dalla “sorte”. Perché infierire con la presenza di Berlusconi che li disprezza?
No. Altra merda no. I disabili hanno già dato.
E che c’entra tutto questo con le idee vecchie? C’entra. Siamo convinti che ormai i portatori di handicap, entrati nelle scuole comuni dal 1977, siano integrati. No. Sono solo inseriti. Inserimento è STARE con gli altri. Integrazione è FARE con gli altri. Durante il periodo neoclassico venivano gettati su una nave e mandati alla deriva. L’acqua avrebbe fatto il resto, l’acqua che monda, che purifica. Erano le famose NAVI DEI FOLLI.
Che follia considerare una pena lavorare con i disabili: che follia considerare i disabili un impedimento per svolgere il programma perché “rallenterebbero” i progressi degli altri. Follia? No. Ignoranza. Studiosi internazionali come Peck, Donaldson e Pezzoli riassumono in una tabella che sintetizza in percentuale quali siano stati finora i benefici per i compagni di classe dal coinvolgimento totale nell’integrazione:
a) miglioramento del concetto di sé (62%)
b)maggiore comprensione interpersonale (66%)
c) minor timore delle differenze umane (38%)
d) maggiore tolleranza (66%)
e) maggiore riflessione/sviluppo di principi personali (48%)
f) vissuto di genuina accettazione (48%)
g) vantaggi di apprendimento con metodologie cooperative
h) vantaggi a livello di autostima.
Per non parlare del miglioramento – per gli alunni normodotati – delle loro capacità cognitive (vale a dire un aumento del Q.I.): miglioramento delle capacità discriminative, della capacità di problem solving, di contestualizzare e decontestualizzare, di insight ecc. Ma questa ricerca non posso citarla pur essendo di Andrea Canevaro e… mia. C’è sempre qualcuno con l’idea vecchia dell’ipertrofia dell’ego. E vantarsi di ciò che non si è fatto o non si è stati capaci di fare.