Per secoli, il lupo è stato considerato uno dei principali nemici dell’uomo: furbo, agile e forte è stato cacciato e braccato sulle montagne da “lupari”, cacciatori occasionali e di professione. L’ancestrale paura per questa bestia, è stata da sempre sfruttata nei “cuntura” (favole) della nonna o come minaccia per incutere timore ai bambini irrequieti. Famose le favole di Cappuccetto Rosso e dei Tre Porcellini. Ora le condizioni del lupo sono cambiate, e se un tempo lo si temeva, oggi si teme per lui, per la sua estinzione. In Sicilia, nella terra d’origine della “lupara” (doppietta a canne mozze caricata con cartucce a nove pallettoni) il povero canide non sarebbe potuto sopravvivere a lungo. Eppure, contrariamente alle aspettative, esso ha resistito nell’isola addirittura fino ai primi decenni del 1900. Fra gli ultimi esemplari si ha notizia di 7 lupi uccisi nel 1891 in territorio di San Fratello in provincia di Messina; il 4 gennaio del 1902, un altro grande lupo, probabilmente idrofobo, fu ucciso, dopo movimentate vicende, nel bellissimo (e ancora esistente) Bosco di S. Pietro presso Caltagirone. Gli ultimi branchi di lupi sopravvissero probabilmente qualche anno ancora nelle folte faggete dei Nebrodi e delle Madonie: secondo alcune fonti l’ultimo esemplare in Sicilia venne abbattuto nel 1923, altre danno per certo il 1937 (di questo esemplare esisterebbe anche la pelle). Da altre fonti apprendo che il Lupo è ormai completamente estinto in Sicilia, l”ultimo esemplare fu ucciso a Ficuzza nel 1935. Tuttavia, per molti anni dopo l’effettiva scomparsa, si continua a vociferare della sua presenza (sogno mai abbandonato dai naturalisti); certamente si tratta di cani inselvatichiti, di casi, sempre più rari, di bestiame attaccato e sgozzato in piena campagna durante le invernate più fredde. Accanto alla persecuzione dei cacciatori notevole responsabilità nella scomparsa del lupo può essere attribuita alla campagna antirabbica attuata con grande uso di veleni negli anni a cavallo tra le due guerre e nel secondo dopoguerra. Quando ero bambino ricordo che la “rabbia” una malattia proveniente dai lupi ammalati, si era molto diffusa fra i cani domestici con pericoli reali anche per l’uomo. Per combattere i numerosi cani randagi, considerati apportatori della “rabbia” il Comune faceva mettere negli immondezzai, che si trovavano in posti ben precisi per strada a toccare i marciapiedi, delle esche avvelenate, chiamate allora “baddottuli”. L’uomo, dopo aver distrutto l’intera razza di questi splendidi animali, ora sente il bisogno (i naturalisti in particolare) di sapere che esistono ancora luoghi ove si possa sentire il suo meraviglioso ululato.
Vito Marino