PARTANNA – Nell’ambito della Settimana della Cultura, è stato presentato ieri sera (26 maggio), a cura della sezione cittadina della Fidapa, il romanzo dell’ispettore Vito Piazza “Sicily“. Presenti numerosi rappresentanti del mondo della scuola locale.
Hanno presentato il libro il poeta Tino Traina e la docente Paola Grassa. Presenti, oltre all’autore, il sindaco di Partanna Nicola Catania, l’assessore alla Cultura Francesca Accardo, la presidente cittadina della Fidapa Anna Maria Clemenza e le due cerimoniere della Fidapa Mimma Amari e Antonella Mendolia.
Molti i plausi rivolti in direzione dell’ispettore Piazza e della sua opera.
Tale iniziativa si inserisce all’interno di un’idea che vede, ha detto il sindaco Catania, “l’ex Monastero delle Benedettine alla stregua di un Caffé Letterario in cui possa circolare la cultura con una serie di iniziative che permettano la crescita culturale complessiva della nostra comunità. E’ attraverso la cultura – ha continuato il sindaco – che ciascuno conquista la propria autonomia e la propria libertà”.
Pubblichiamo qui di seguito l’intervento integrale del poeta Tino Traina
SICILY di Vito Piazza
Presentazione di Tino Traina
Un ringraziamento particolare a Vito Piazza il quale, oltre ad avermi già concesso il privilegio della lettura di questo libro quando ancora era in fogli volanti ed in parte abbozzato, mi concede ora l’onore di presentarlo.
In realtà devo confessare che all’iniziale entusiasmo si è andata sostituendo via via una certa preoccupazione e un certo smarrimento.
Perché?
Ma per il fatto che nel mio immaginario si era ormai concretizzata una visione della Sicilia tutto sommato positiva quale è sempre venuta fuori dalla descrizione e dalla impressione sia dei viaggiatori di grande prestigio culturale come Goethe che, più di due secoli fa, nel suo”Viaggio in Italia” definiva la Sicilia “ la chiave di tutto, senza la quale non ci si può fare un’idea dell’Italia”, o come Guy de Maupassant che nel suo “La vie errante” definisce la Sicilia “Perla del Mediterraneo”, sia di tutta la letteratura a sfondo turistico, sociale, politico passando attraverso le opere di Capuana,Verga, De Roberto, Pirandello, Sciascia, Bufalino, Consolo per i quali luoghi, fatti, persone si collocano e si sviluppano in uno scenario dove si alternano vinti e vincitori che una critica severa e oggettiva non esclude quasi mai dalla speranza di riscatto.
Qui le cose sono diverse. Si tratta di un’opera dove i vari personaggi differiscono tra di loro non tanto per spessore culturale, meriti o demeriti, vizi o virtù, pregi o difetti ma per l’appartenenza.
Andiamo per gradi, cominciando dai due protagonisti per eccellenza:
L’uomo della Montagna e Nakona.
Chi sono, cosa rappresentano.
Cominciamo col dire che l’uomo della Montagna è l’autore del libro, e siccome l’autore del libro è Vito Piazza, tutti voi direte che l’uomo della Montagna è Vito Piazza secondo il più elementare dei sillogismi. Si tratta dell’unico sillogismo nella storia che non è andato a buon fine, per il semplice motivo che non esiste Vito Piazza, ma esiste L’uomo della Montagna che vive a Milano e L’uomo di Milano che vive in Montagna.
Questi due signori , nel loro continuo viaggiare dall’uno all’altro posto non si incontrano mai, neppure a metà strada.
Ne deriva un malessere esistenziale con mancata integrazione delle proprie vicende come individuo, nel processo storico familiare, sociale culturale.
Infatti l’Uomo della Montagna che esordisce nel libro al risveglio, un po’ stralunato, è quello di Milano in uno dei suoi ritorni, che dovrà ricongiungersi ad ogni elemento del paesaggio, dopo però averlo “riconosciuto”.
Sono già i primi segnali che l’autore dà di quell’immobilità che avvolge e coinvolge tutto e tutti, nell’ esigenza collettiva del ripetersi di abitudini consolidate nel tempo, di quell’annoiu che aveva come antidoto “lu sparlìu” la cui sede più sacra era “sutta lu pedi di pignu” di quel parlare e fare ammatula che rientrano nella più ampia filosofia di vita nakonese magistralmente espressa con il termine “annacarisi”
Nakona è il paese abitato da gente “più astuta che prudente, più arguta che sincera” priva di interessi collettivi, che non crede in Dio ma nei Santi, incapace di contare sulle proprie forze e quindi rivolta alla ricerca religiosa della raccomandazione che una volta ottenuta rendeva perenni servi fedeli del beneficiante scambiato per benefattore.
Paradossalmente – dice l’autore – la cosa più viva di Nakona è il cimitero, gli Scapuccini ed è andando verso il cimitero lungo la via che avrebbe percorso il suo funerale, che l’autore descrive come immagina che esso avvenga, con tutto il rituale d’obbligo in simili occasioni, dall’abito scuro alle scarpe nuove, al cùnzulu descrivendo le vie del paese e il corteo di parenti, conoscenti e amici che osserva e studia nei comportamenti e nelle reazioni immaginando finalmente post mortem quei riconoscimenti, quella riconoscenza, quelle gratificazioni che ritiene avrebbe meritato in vita.
Ed è infatti in vita che vuole gli vengano riconosciuti finalmente i suoi meriti.
Orgoglioso e superbo, questa invece la nomea che lo accompagnerà tutta la vita come una ingiuria, lo stigma di chi è nato povero e intelligente.
L’intelligenza come dono inutile e quindi sprecato se dato ad un povero.
Decide quindi di risorgere senza aspettare i classici tre giorni, accorgendosi che quello che era avvenuto non era il suo funerale, ma quello di Nakona.
Ma in quel viaggio immaginario quante rievocazioni di luoghi, fatti e persone!
La maestra Li Causi,Padre Goloso succeduto a Padre Caracci; il magrissimo Padre Antonino; Gina innamorata di Franco e lui, giovane uomo della Montagna, segretamente innamorato di Gina; e poi Rino,Giacomo, Bino, Giuseppe, Natale, Nicola delle casse da morto, persone divenute ora personaggi che Vito Piazza passa in rassegna evidenziandone pregi e difetti.
Chi vuole inoltre potrà sbizzarrirsi a cercare di identificare chi sia quel prete che durante l’omelia definirà “ragazzina che dice cretinaggini” Rita Atria; o il cattolico integralista che faceva le veci del sindaco, che non volle che ‘Nzulu e Nardina si sposassero in chiesa; o il geometra che decise la distruzione di ciò che il terremoto aveva risparmiato come la “vanedda cacata”emblema impareggiabile di architettura popolana piena di storia e di storie; e chi era lu Scagliunutu il più ricco del paese?
E quella Rossella bellissima piantata da un fidanzato che fuggì in America facendole perdere la ragione?
A Nakona la diversità è considerata devianza, qui sono i silenzi che parlano e tutto è organizzato, voluto da certe “autorità epistemiche occulte”, come le definisce l’autore,che fin dalla nascita segnano i destini a seconda della appartenenza, vero e proprio patto di sangue e onore, spesso sancito dalla” ingiuria”, cioè da un soprannome che meglio consentiva di identificare persona e appartenenza.
Una cattiva madre era stata Nakona, dove non esistono colpevoli anche se ci sono colpe; un palcoscenico dove ognuno recita la sua parte che sua però non è, non è mai stata e non sarà mai.
Ma a lui, l’Uomo della Montagna, nessuno avrebbe imposto una parte.
A lui di umili origini toccava un destino di riscatto, quasi di vendicatore di tutti i nakonesi di umili origini che subivano da sempre e per sempre le prepotenze dei più ricchi.
Né padroni , né padrini, vanta orgogliosamente Vito Piazza!
Quanto tempo è passato dal giorno di quella prima elementare in cui la bionda mamma di Maurizio gli fece togliere il posto al primo banco che si era meritato come il più bravo della classe!
Ma lui era povero e non poteva meritare quel primo banco.
Neanche cento anni riescono a chiudere una simile ferita in un bambino.
Narcisismo il suo certo, ma dell’innocenza infantile, di quel bambino che gli resterà come spina nel cuore, che non potrà (e forse non deve) dimenticare la vergogna provata per le “pezze al culo “dei suoi pantaloni rattoppati che doveva per forza esibire quando interrogato.
Traumi terribili dell’infanzia per chi ad una intelligenza superiore associa quella sensibilità che lo farà anche poeta capace di visioni della realtà straordinarie, e di senso di responsabilità troppo pesante per le sue piccole spalle.
Ma era il bambino umiliato e spesso ingiustamente punito che doveva mantenere le promesse di riscatto che aveva fatto a se stesso e a quelli del paese che vedevano in lui non lu capu d’opira, o lu malacunnutta, o peggio ancora Giufà , ma Robin Hood, oppure Tex, eroi insomma che si levano contro le soperchierie, la tracotanza, l’ignoranza, contro chi ritiene che tutto quello che conta è una buona reputazione alla quale sacrificare ogni novità, ogni tentativo di riscatto sociale, politico, culturale.
Comu voli Diu! A legittimare uno stato di immobilità e di rassegnazione che tale deve rimanere contro ogni possibile rivalsa, l’annoiu come “svuotamento dell’essere e dell’esserci, come vuoto di sentimenti più che sentimento del vuoto”
Le autorità epistemiche con i loro amici ed amici degli amici stabilivano l’ordine, i confini, la tua vita, il tuo destino, il tuo spazio vitale tanto più piccolo quanto più misera la tua appartenenza.
Poche le speranze per poveri ed emarginati.
Ma soprattutto per i poveri.
La povertà viene ritenuta imperdonabile, non redimibile; al povero non restava che nascondersi o emigrare.
Non poteva non scriverlo questo libro Vito Piazza.
Chi meglio di lui, autorità ormai internazionale nel campo della psicopatologia infantile e dell’handicap, avrebbe saputo mettere a fuoco i danni psicologici che un ambiente negativo può esercitare nell’infanzia sullo sviluppo libero e completo della personalità?
Chi meglio di lui denunciare come violenza sul minore il soffocamento dell’intelligenza e la mortificazione dell’immaginazione del bambino emarginandolo per differenze economiche , razziali, religiose?
Chi meglio di lui far comprendere che il bambino non è un adulto in miniatura, ma persona con dignità individuale e personalità in tumultuosa interazione con l’ambiente?
L’adulto ha il compito doveroso di accompagnarlo in questo viaggio di formazione costituito da tappe ognuna delle quali importantissima e insostituibile per la formazione del carattere e della personalità.
Vito Piazza lo fa esponendo la sua vicenda personale di vita, di chi patisce giorno dopo giorno le conseguenze del distacco anzitempo con il luogo degli affetti, forzato dalla incomunicabilità crudele dell’adulto.
Libro autobiografico in un certo senso, ma in cui l’autore si è posto a fianco di quelli che la sua sensibilità ha saputo riconoscere come sofferenti, in un abbraccio solidale di compianto e compiacimento.
Una confessione autobiografica quella di Vito Piazza spesso con distacco ironico seppure nostalgico in cui mescola sapientemente memoria sentimentale e memoria critica di una realtà che un io infantile e sognatore riesce a filtrare in memoria individuale ora con stile idillico-evocativo dell’infanzia-adolescenza ora con stile epico-narrativo dell’età adulta.
Un’analisi incalzante la sua di fatti e persone con impronta ora realistica ora psicologica che si avvale di forti toni ironico-satirici spesso dissacranti nei confronti di tutto ciò che si presenta come luogo comune, scontato da una tradizione acritica e impositiva, con il gusto della citazione colta in latino soprattutto, del pastiche, dell’uso di proverbi siciliani ( se ne possono contare una quarantina circa), della descrizione paesaggistica che raggiunge spesso livelli poetici e pittorici, del ricorso ai miti greci.
Uno stile in definitiva che ha nella componente citatorio-parodica, una sorta di recupero di stili e modelli di tutta una tradizione precedente che, in linea con la letteratura postmoderna, estende notevolmente la leggibilità ad un più ampio territorio socio-culturale rivolto soprattutto a quelle verità che riguardano le fasce sociali più deboli.
Tino Traina