Tempo scuola alla partannese? No grazie! è troppo lungo!

Al solito: ricordo personale. Se si ha la pazienza di trovare un libro di Giovanni Padovani, La “Riforma regalata”, si capirà come gli insegnanti siano migliori della scuola in cui abitano. Il giornalista titolò quel libro perché in tutta Italia c’erano delle realtà che superavano la vecchiezza dei programmi ministeriali. NOI (e lo uso come plurale humilitatis) di via Trilussa a Milano avevamo inventato il tempo pieno. La narrazione documentata di quella esperienza si trova in un altro libro sovvenzionato dal Comune di Milano e per il quale ho avuto l’Ambrogino d’oro. Il libro firmato da me, da Vito Giacalone e da Pippo Macaluso si intitolava “Fare scuola oltre il ponte”. Ne hanno stampate 500 copie. Sono ancora tutte là. Hanno provato a regalarlo: nisba. Hanno provato a dare degli incentivi economici affinché lo prendessero: nisba. Ma procediamo. Prima a Quarto Oggiaro – sempre Milano – c’era il tempo lungo. In quegli anni ’70 i ragazzi andavano a scuola dalle 7, 15 del mattino, alle 18 di sera. Una volta chiesi ad un bambino se gli piacesse quel tempo scuola. Mi rispose: maestro, ma sei scemo? Come fa a piacermi questa scuola dove faccio 4 turni? Al mattino prescuola, poi scuola, poi doposcuola e infine i giochi serali. Ci pensate? Anche il padre faceva i “turni”. Il tempo non solo era troppo, ma era riempito di lezioni, di compiti, di correzioni ecc. Su queste considerazioni lavorammo noi insegnanti e inventammo il tempo pieno. Il nostro “credo” era don Milani, specie quelle righe in cui il prete di Barbiana dice: “Le riforme che proponiamo: 1. Non bocciare 2. A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno 3. Agli svogliati basta dargli uno scopo”. Poi vennero i ministri che parlarono a vanvera: maestro unico, tempo scuola ridotto ecc. Ma non è chiaro il disegno comune? Rovinare la scuola pubblica per far emergere la scuola privata. Poi vennero i furbi: facciamo il tempo pieno, ma solo come prolungamento del mattino. Al sud passò. Al nord se ne sono fottuti del Ministro e il tempo pieno vive ancora. Al momento in cui scrivo devo registrare un’altra sconfitta come uomo di scuola e come esperto nazionale (tale è il ruolo dell’ispettore anche se a Partanna quando uno dice ciò che è o è stato si chiama “vanteria”, mentre nei paesi civili si chiama “curriculum”) della qualità della scuola stessa. E tutto questo nel posto in cui sono nato e che ho portato sempre dentro di me come una spina nel cuore. L’insuccesso di vendite di Sicily ne è una prova e ne prendo atto. La variabile tempo a scuola è una delle variabili più importanti. Secondo il Mastery learning, l’apprendimento per la padronanza è la variabile più importante, tanto da determinare l’attitudine agli studio. Un tempo l’attitudine veniva considerata innata. C’erano i “nati alla zappa e alla vanga” (i figli dei poveri) che sono quelli che parlano non potabile ripetono come “fruges consumere” e c’era chi era nato per fare la classe dirigente visto che della classe dirigente era figlio. Un po’ come il Berlusca: io vado via ma lascio i miei eredi. Un concetto monarchico: ma siamo in una Repubblica o no? Chi ha letto don Milani (e nel mio piccolo “Attè ti picchia Luigi?) sa che il tempo pieno è la soluzione migliore finora trovata per colmare eventuali deficit. Si tratta di seguire quella curva dell’attenzione che non permette quella che viene chiamata “distrazione”. La distrazione non esiste. Esiste solo lo “spostamento dell’attenzione”: se mentre mi state leggendo state pensando ad altro non significa che siete distratti ma che state “attenti” a qualcosa di più interessante per voi. Ci siete? Siete connessi? Allora: il tempo corto non solo non aiuta, ma accresce i deficit. Deutsch parla di deficit cumulativo. Inoltre c’è da fare i conti con la curva dell’attenzione che nei bambini non supera i 45 minuti, questo nelle previsioni più ottimistiche. Yerkes e Dodson sono più rigidi e paventano pericoli reali. Il tempo corto prolungato solo al mattino va contro le affermazioni degli studiosi più accreditati fino a diventare un potente ansiogeno. L’ansia è una risposta innata per l’adattamento all’ambiente, dai semplici cambiamenti di routine fino alle situazioni più estreme di pericolo. Tutti noi proviamo ansia. È un sistema che è eredità del nostro cervello di rettile che risponde sempre con “attacca o fuggi”. Quando un bambino è in ansia il suo battito cardiaco accelera così che i muscoli vengono irrorati con più sangue al fine di migliorare la capacità di sostenere uno sforzo fisico. Questo andava bene in un mondo primitivo dove eri costretto a scappare di fronte ai dinosauri. La curva di Yerkes-Dodson illustra la relazione tra ansia e prestazioni (non sono affermazioni mie, ma dei maggiori studiosi del problema). Ansia e Prestazione (curva di Yerkes-Dodson). All’aumentare dell’ansia oltre la soglia ottimale, peggiorano progressivamente le abilità cognitive implicate nella prestazione. Intensità crescenti di ansia hanno un impatto progressivo sui processi cognitivi, alterando inizialmente le funzioni mentali superiori (come il ragionamento astratto) fino ad arrivare ai processi mentali di base (come la percezione). Perciò, inevitabilmente, a partire dal prossimo anno scolastico i vostri figli manifesteranno Tachicardia, Respiro affannoso, Sensazione di mancanza d’aria o soffocamento, Vertigini o giramenti di testa, Formicolii alle mani o ai piedi, Senso di costrizione o dolore al torace, Sentirsi svenire, Sudorazione, Tremori, Vampate di caldo o di freddo, Bocca secca, Nausea o nodo allo stomaco, Debolezza alle gambe, Visione annebbiata, Tensione muscolare, Impressione di non riuscire a pensare chiaramente o di non riuscire a parlare, Impressione che le cose intorno non siano reali, Paura di morire o di impazzire, Paura di perdere il controllo o di comportarsi in modo bizzarro, Impulso a fuggire, Tensione sul collo, Problemi a dormire. Prolungare i tempi di attenzione concentrando il tutto nell’orario mattutino non solo è più che un delitto contro l’infanzia, è un errore che produce disturbi cognitivi ed emotivi che avranno ripercussioni nella vita da adulti. Tempo pieno o tempo parziale? L’importante che non sia vuoto, l’importante è che si rispettino le varie curve dell’attenzione scientificamente testata. Immagino che gli insegnanti elementari di Partanna sappiano tutto sull’attenzione, sugli stili di apprendimento sulla modularità delle attività da proporre. Perciò avranno il sabato libero. La resa scolastica in termini di attenzione e profitto è la stessa in entrambi i casi? Nel pomeriggio i ragazzi sono concentrati quanto la mattina? “La capacità di rimanere concentrati su contenuti che ci vengono veicolati e che richiedono uno sforzo mentale costante, focalizzato su un obiettivo – spiega Roberto Dell’Acqua, docente del dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’università di Padova – è nota come attenzione sostenuta. Nel caso degli studenti in aula c’è chi cerca di memorizzare subito la lezione e chi, invece, attraverso una propria chiave interpretativa traduce i contenuti in appunti per delegare la memorizzazione a una fase successiva”. Non si tratta di un processo lineare, ma di un fenomeno psicofisiologico caratterizzato da un’alternanza tra momenti di aumento e di calo del livello dell’attenzione su cui influiscono diversi fattori, tra cui il ritmo circadiano.. “Le performance migliori – sottolinea Dell’Acqua – si ottengono nelle due ore che precedono il mezzogiorno, con un decremento sensibile a partire dalle 12,30. Se si considera che la soglia di attenzione è di 40-45 minuti, un prolungamento mattutino è da evitare, a meno che non si voglia favorire il riposo degli insegnanti piuttosto che l’apprendimento dei bambini. Del mio stesso avviso l’amico Andrea Canevaro, docente di pedagogia all’università di Bologna: “A creare problemi è la difficoltà di distribuire le energie tra riposo e attività. Molti bambini riposano male, in alcuni casi vengono letteralmente strappati dal letto”. Caro Andrea sembra questo di Partanna essere il caso. Su NewScientist Russel Foster dell’università di Oxford, sottolinea come per un adolescente svegliarsi alle 7 sia come per un cinquantenne alzarsi alle 5. Ne consegue che per un bambino di I o di II si tratta di svegliarsi alle 4 di notte. Esiste poi il grado di stanchezza. Le capacità attentive non rimangono invariate ma vanno via via incontro a un processo di normale decadimento nel corso della mattinata. Un ruolo altrettanto importante giocano la durata del compito, l’interesse e la motivazione, che potenziano l’intensità dell’attenzione. Attraverso esami elettroencefalografici è stato rilevato che quanto più l’individuo si “abitua” al compito, tanto più con il passare del tempo cala il livello di attivazione delle risorse di attenzione e aumenta la possibilità di compiere errori. Bisogna che gli insegnanti siano molto creativi e quasi geniali nel far creare sempre il bambino. Giacomo Stella autore di studi sullo sviluppo cognitivo, ha dimostrato che la partecipazione a compiti monotoni è accompagnata a un rendimento inferiore, che diminuisce con l’aumentare del tempo di impegno. Lo scolaro (è sempre il mio amico Canevaro) segue meglio le lezioni se sono impegnative e non banali. La banalità non aiuta l’attenzione. Si consideri poi che oggi (Università di Padova) è stato dimostrato che la durata dell’attenzione nei ragazzi è sempre più ridotta. E le materie sono più impegnative. Se la delibera del CD di Partanna di un mercoledì nero fosse stata confermata dal Consiglio di Istituto, non ditemi che non vi avevo avvertito!

Vito Piazza

Che ha fatto davvero l’ispettore anche se la gente si ostina a chiamarlo Direttore.


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