Uno sguardo dietro il pregiudizio

Il pregiudizio è un bisogno mascherato di anticipare l’altro attraverso categorie pre-costituite, solo utili a gestire l’ansia del non prevedibile! La realtà è da ciascuno di noi inventata, non esiste una corrispondenza esatta tra le nostre rappresentazioni e il mondo…essa può essere solo relativa. Esistono, di fatto, tanti mondi quanti sono gli abitanti del pianeta, nonché tanti altri mondi quanti sono gli animali esistenti, che inevitabilmente percepiscono il mondo, il loro mondo mediante la propria biologia, la quale decide, come anche per noi, il modo, il campo ecc. relativamente percepibile. Per l’uomo la cosa è peculiarmente più complessa, poiché egli non è soltanto condizionato dalla propria biologia in senso diretto, ma lo è anche in senso indiretto cioè dalla natura proiettiva dei propri schemi mentali che via via si vanno formando nel corso della sua vita. Il pregiudizio, difatti, non è altro che una distorsione interpretativa ben articolata composta da concetti e metafore, che vengono applicate sull’altro al fine di categorizzarlo proiettivamente attraverso le proprie categorie. Un errore grossolano che costituisce un’azione abbietta “utile a se stessi” ma fortemente disfunzionale per l’altro. Infatti all’origine del pregiudizio troviamo spesso che l’emettitore iniziale dello stesso sia una personalità disturbata che trae beneficio dal discredito dell’altro. Ribadendo, il pregiudizio è un processo cognitivo attraverso il quale utilizzando una griglia di categorie già possedute prevediamo l’altro. E’ chiaro che costruzioni così fatte sono per l’appunto pregiudiziali, proprio perché traggono la valutazione da riferimenti preconfezionati. In sintesi, essi sono utilizzati per connotare le persone che si conoscono poco o che per la loro natura esistenziale si pongono in modo da non rispecchiare le aspettative dell’altro, con superficialità e con elementi poco certi e indiretti. Pertanto in tale realtà, siffatte persone vengono costruite come temibili non perché lo siano realmente, ma solamente perché non facilmente comprensibili alla massa, che il più delle volte, attraverso il pettegolezzo, diviene preda di una “follia pregiudiziale epidemica”. Una malattia, dunque, che si pone nell’ottica non di una psicologia individuale, ma di una psicologia detta delle masse, ove il singolo individuo esercitante l’azione pregiudiziale, non possiede più una propria valenza costruttiva, un proprio modo di osservare il mondo (il non essere, il non pensare, ma solamente contribuire al mantenimento della “follia” come un gregario strisciante), ma detiene ormai una costruzione costituita dalla distorsione percettiva della massa. I pregiudizi, quindi, dando una conoscenza rapida ed economica ma fuorviante falsano le previsioni e, come la metafora, costituiscono ostacolo ad una visuale corretta della realtà. In conclusione, il modo di vedere le situazioni dipende dal tipo di analogie che costruiamo per comprenderle, e il non renderci conto delle limitazioni intrinseche dei nostri processi cognitivi può condurci all’arroganza e a stigmatizzare la differenza (l’altro costruito diverso) nell’ottica della propria visuale rigida e pregiudiziale. Emerge così la presunzione, che ponendosi coattivamente in una prospettiva irrigidita, diviene l’unica ed indiscussa artefice di ciò che l’altro “deve” essere. Un’azione, questa, che costituendo un’aberrante esigenza personale di osservare l’altro attraverso il giudizio preconfezionato e spesso diffondendolo mediante “contagio”, diviene un’azione atta solamente a proteggere nevroticamente se stessi per mezzo dell’annullamento dell’identità dell’altro. Pertanto la pochezza cognitiva (scarsezza di differenziazione, di integrazione e gerarchizzazione mentale – cioè rigida visuale del mondo) autrice del pregiudizio, si evolve quale arrogante artefice della propria e dell’altrui realtà. Una aberrante azione proiettiva questa, volta al solo e personale uso e consumo! Dove il concetto di società ed umanità diventano solo parole. COME ABBATTERLO? Negare le differenze, in nome di un malinteso senso di universalismo, non serve certamente a capirsi meglio e spinge invece ad attribuire le incomprensioni a caratteristiche negative dell’altro. Occorre dunque impegnarsi a rendere espliciti i propri e gli altrui stili di comunicazione, i modi in cui i messaggi sono decodificati, le occasioni che generano incomprensioni, le modalità con le quali si gestisce complessivamente l’interazione, le norme culturali generali che stanno dietro all’incontro interpersonale. E’ importante quindi che chi opera nel sociale, le scuole, aiutino le nuove generazioni, a non fermarsi soltanto ad un pre-concetto ma ad andare oltre, concedendo la possibilità di accogliere il diverso e di dare la possibilità di aprire gli orizzonti mentali. Questo significa imparare a vivere la VITA!!

Marilena Pipitone


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