di Vito Piazza No. Non si tratta di “titoli” nel senso della TV o del cinema. Si tratta di sottotitoli? I menagramo invecchiati dicono che siamo arrivati ai titoli di coda: un umorismo macabro che vuol dire che abbiamo più vita al passato che nel futuro. Eppure anche quando è così ogni uomo che ha faticato una vita per conquistarsi un titolo che ne sintetizzi lo status (che è la sintesi di una vita e rappresenta un insieme di ruoli di cui il più importante è quello CONQUISTATO col lavoro, con il sudore, la fatica e soprattutto le rinunce), in qualche modo ha il DOVERE di rivendicarlo. Per non rimanere nell’anonimato, o, peggio, tra la belve “multorum capita” che era la folla – così triste, così ingombrante e asfissiante di virgiliana memoria. No, non si tratta di egregio signore che seppur abbia un significato che fa emergere da pecore e soprattutto pecoroni (egregio= ex grege, fuori dal gregge) non soddisfa il bisogno (bisogno è vitale secondo la scala di Maslow) come il mangiare e il bere e avere una casa di riconoscimento. E ogni riconoscimento è una carezza in questo mondo in cui viviamo digiuni di carezze. Quindi per i titoli non si tratta degli appellativi che si premettono al nome o al cognome di una persona. C’è una stretta relazione tra uomo, persona, nome, cognome, attività. Ciascuno ha una serie di ruoli, ma è la somma dei titoli che ne qualifica lo “status” sociale. In genere a Partanna non è difficile: se vedete 3 persone che continuano a “pianeggiare” la strada maestra non è difficile individuarli: due sono sicuramente maestri, il terzo è professore di educazione fisica. Quando siamo insieme agli amici e conversiamo, dovendoci riferire a una persona anonima e lontana diciamo “ddu cristianu”. E questa abitudine si può far risalire al periodo delle conversioni: quando un ebreo decideva di farsi cristiano gli veniva dato, insieme al battesimo un nuovo nome. E in genere si trattava del nome della città in cui avveniva il battesimo: da qui – sembra – l’origine dei vari Catania, Palermo, Piazza, Giacalone, Monteleone ecc. Cristianu sta per persona. A volte per “signore”. Ed è vero, forse, che come diceva Totò “signori si nasce”. Non nel senso di una aristocrazia debosciata e corrotta, ma nel senso civile di “brava persona, buon cittadino, gran lavoratore”. Ma se ci rivolge all’individuo in modo diretto, tutto dipende dal grado di confidenza che si ha. Ci sono ancora famiglie in cui i figli danno del “vossia” al proprio padre? E il vossia è più che il “lei”: più distante del lei, si potrebbe avvicinare all’”Ella”. Il massimo rimane, anche se tende a scomparire, è il DON. Tu puoi essere “dottore”, “avvocato”, “ingegnere”, ecc. ma non supererai mai il DON. Sei cavaliere? Poco, pochissimo rispetto al “Don”. Che mentre nel nord è riservato ai soli preti qui è indice di rispetto soprattutto mafioso. Ma di quella mafia che il Pitrè traduceva come “bellezza”. Solo un gradino sotto o forse più c’era “Zi”: lo zu Petru era comunque sempre inferiore al Don Petru anche se si trattava della stessa persona; chi era più “rispettoso” lo chiamava DON, chi meno lo chiamava Zu. Ed Egregio signore? Fateci caso. Si usa o nelle lettere o come inizio di un’offesa: “Egregio signore, lei non sa chi sono io!” E invece di dare il VERO significato – fuori dal gregge- diventa un insulto. Per le donne ci sono meno problemi: Donna va bene ed è sempre rispettoso: deriva da domina, padrona. E qui ci si può sbizzarire a cercare le origini del “nostra” società matriarcale. Le donne di Partanna, oltre ad essere le più belle del mondo, sono anche le più intelligenti: dove trovate una donna che comanda davvero e – qui è la differenza – capace nello stesso tempo di ingannare o illudere il marito dandogli l’impressione che sia lui a comandare? Solo qui. Ma proseguiamo con i titoli. Mi sono sempre chiesto come mai- quand’ero poco più che adolescente, molte persone facoltose per via delle salme di terra avessero scritto nella carta di identità alla voce “professione” “BENESTANTE”. Le ammiravo. Perciò quando andai in pensione – che davvero non ci sono mai andato visto che continuo a scrivere anche se nessuno mi legge e il mio Sicily è stato un “flop”- ed a fare lezioni universitarie- chiesi se la signora dell’anagrafe mi poteva scrivere benestante. Disse di no. La supplicai. E io che pur non avevo mai cercato raccomandazioni ebbene sì, le cercai. Volevo il BENESTANTE. Nulla da fare. Pensionato. Ma se lavoro ancora? Pensionato. E’ impensabile che in un Paese – Partanna – dove i titoli vengono sollevati di almeno di un grado, il sottoscritto venga abbassato. Perché all’appuntato si dà del Brigadiere, al Brigadiere del Maresciallo, al geometra dell’Ingegnere, a me si dà – nel migliore dei casi – del Direttore? Non ho nulla contro i Direttori. (Anche se quelli VERI sono pochi). Ma che ho fatto di male per essere degradato? Se all’ingegnere venisse dato del geometra e al geometra dell’agrimensore, andrebbero su tutte le furie. O mi si chiama VITO (cosa che preferisco) o mi si chiami Ispettore. In ogni caso riportiamo la verità. Sono una persona pacifica, ma al prossimo che mi chiamerà DIRETTORE sarò costretto a rispondere “Direttore ci sarà lei e direttorini tutti suoi nipotini”. Questo scritto farà dire ai solito malevoli che parlo di un caso personale. Non è così. Le femministe hanno conquistato una certa parità nell’affermare che il personale è politico. Fateci caso. Quanti sono partiti dal nulla e hanno conquistato una posizione? Se padre Crociata, nato nella “vanedda cacata”, nessuno dicesse che è stato segretario della CEI, qui sarebbe vanteria? E’ stata carriera. O curriculo. Il personale è politico. E solo chi si ammanta di modestia (sempre falsa, sempre ipocrita) accetta un titolo inferiore al suo “status” sociale. Vi prego: o Ispettore o Vito. Che vi ho fatto di male per essere “insultato” come Direttore? Certo… potremmo trovare un accordo. Nato da una famiglia malestante, BENESTANTE non mi dispiacerebbe. Abbiamo tutti le nostre debolezze, signor Prefetto Nicola Catania, signori Onorevoli del Consiglio Comunale di Partanna, signori Cavalieri della Repubblica, signori imprenditori, ristabiliamo l’ordine: o diamo i titoli giusti o non li diamo affatto. Non è vanteria. E’ curricolo. E amore per la verità… Se questa è vanteria, allora quella di dare titoli superiori è pecoronaggine, miei cari EGREGI signori. Il “vantoso” è chi si prende il titolo che non ha. A costo di passare per intellettuale continuerò queste “mie” spiegazioni. Kleos ha tante pagine. Non mi offendo se si salta la mia. Come ebbe a dire un grande filosofo che ammiro – un certo Aristotele: “Amicus Plato, sed magis amica veritas”. Chi sa di latino traduca. Ma non per questo sarà un latinista. Vito Piazza Attenzione! Il contenuto di quanto sopra è pericoloso. Si prega di utilizzare il dispositivo che impedisce ai minori mentali di leggere.
I titoli a Partanna
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