La leggenda di Satalivigni, bandito mazarese

Chi comanda, spesso perché abusa della sua autorità o perché manda la democrazia in un altro paese, non è stato mai visto di buon occhio dalla popolazione. Di contro, la popolazione non ha mai mancato di ammirare ed aiutare chi, con molto coraggio si schiera contro le autorità costituite. La storia ci insegna che dopo l’unità d’Italia i Savoia governarono in maniera impopolare nei riguardi di un meridione già affamato, facendo sorgere il brigantaggio. Ebbene, tutta la popolazione ha difeso questi briganti. Anche nei riguardi del bandito Giuliano e dello stesso Matteo Messina Denaro, ancora latitante, ci sono stati degli ammiratori. Generalmente questi briganti o banditi o mafiosi che siano passano nella leggenda popolare, perché hanno avuto il coraggio di opporsi ai governanti e agli sbirri quasi sempre corrotti e antipopolari. Sta proprio nel carattere del popolo lasciarsi facilmente entusiasmare dai fatti di cronaca, sui quali poi fantastica, fino a creare personaggi da leggenda. A Mazara, ad esempio, esiste un cortile dedicato al Bandito Satalivigni (salta le viti) ex Vicolo Pozzo della Regina, dove una volta esisteva l’ufficio dei vigili urbani. Una leggenda narra le sue gesta e un suo amore verso una monaca del monastero di San Michele, un doppione della Monaca di Monza, del Manzoni. Nel lontano 1600 un certo Vincenzo Catinella, un bandito che agiva nelle campagne mazaresi fece parlare di sé per le sue gesta audaci ed entrò nella leggenda popolare. Fu chiamato “Satalivigni” (Saltaleviti) per la sua abilità a correre e a saltare i filari di Catarratto e Zibibbo, che c’erano allora, per sfuggire ai gendarmi che lo volevano catturare. Un giorno, ferito dagli sbirri, Vincenzo trovò rifugio presso le monache di San Michele, dove venne curato da una suora. I due s’innamorarono, ma questa fu la fine del bandito, catturato in una delle sue frequenti visite all’amata, fu decapitato sulla piazza principale della città nel 1701.

Vito Marino


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