La lingua siciliana ha molti vocaboli simili, con delle differenze appena percepibili, che tuttavia danno un significato del tutto diverso. Purtroppo si tratta di vocaboli in via d’estinzione, che voglio ricordare per non dimenticare.
-Puddàri era un vocabolo tristemente noto, per indicare la “fregatura” effettuata da un “malu paaturi” per un debito non pagato; infatti, i cattivi pagatori ci sono sempre stati, anche quando la parola data con una stretta di mano aveva più valore di un atto scritto dal notaio. A proposito di debiti ricordo una nota canzoncina che si cantava intorno agli anni ’50 che diceva: – “Fa debiti, fa debiti / nun ti nni ‘ncarricà / cu debiti o senza debbiti / ‘n galera ‘un si cci va”.
-Lu puddaru era il pollaio, dove si tenevano i polli, che si poteva chiamare anche “addinaru” oppure “giuccu” (giuccu in effetti era un’asta dove le galline si appollaiavano per trascorrervi la notte)
-La Puddàra è una costellazione di sette stelle: le Pleiadi, che si trova tra il Toro e l’Ariete, che in inverno, alle ore 21 (una volta si diceva: ad un’ora di notte) si vede ad occhio nudo. Alla mezzanotte è “‘n pernu” (perpendicolare sulla terra); di mattina, al primo chiarire dell’alba si nota ancora. Per questo motivo una volta l’aurora si chiamava: “li sett’arbi” (le sette stelle dell’alba). Il Pitré scrive che a Palermo la Puddàra si considerava come “un carro sul quale la Madonna si asside e gira per il cielo”. C’era anche la credenza che contando le stelle della Pleiade comparissero “li purretti” (porri o verruche).
-La pudda è la fisionomia, la caratteristica che possiede ogni persona e che la differenzia da un’altra. Questa fisionomia tuttavia è simile fra le persone consanguinee che appartengono alla stessa famiglia e a volte anche fra cugini. Si dice allora che una persona, “a la pudda”, si capisce che appartiene alla famiglia “tale”.
-La ‘mpudda invece è la comune pustola che compare improvvisamente e che scompare nel giro di pochi giorni.
Vito Marino