Non ho più dubbi. E’ tutta colpa di quel trauma che la mia infanzia subì all’età di dieci anni circa. Avvenne in quel di Magazzolo, stazione di campagna vicino a Ribera, dove mio padre sceglieva di andare in missione come capostazione. Lo faceva per guadagnare di più, trattandosi di stazione disagiata dove non c’era luce elettrica ma lumi ad acetilene, non c’era acqua corrente ma il pozzo e non c’era altra possibilità di comunicazione e di spostamento che non fosse il treno. E proprio con il treno, finita la scuola, io e la mia famiglia raggiungevamo mio padre, per trascorrere con lui tutto il periodo estivo.
Un giorno di Agosto, arroventato da un sole implacabile, decisi di andarmi a sedere nel giardino annesso alla stazione, fresco di ombre di palme e magnolie, per godermi gli ultimi numeri di Blek Macigno e Capitan Miki, eroi allora di noi ragazzi.
Feci appena in tempo ad entrare che sentii una voce femminile esclamare “buongiorno bel bambino”. M’irritò subito quel “bambino” detto a me che mi avviavo ormai al decimo anno, mi girai e vidi, seduta su una panchina, una bellissima giovane donna bionda che mi invitava a sedermi accanto a lei. Rimasi come folgorato e fortemente intimidito e stavo per dirigermi verso quella visione, quando qualcosa di sconvolgente mi fermò. La bellissima giovane donna bionda mi accoglieva con uno dei più smaglianti sorrisi che io possa aver mai veduto, nitido smalto splendente, bianco avorio lucente, a cui però mancava l’incisivo laterale sinistro. Un vero e proprio buco nero. Rimasi paralizzato e indignato perché vedevo in quel momento una delle più grandi offese alla bellezza.Tutto l’universo mi parve irritato. Balbettai qualcosa verso quella donna e fuggii.
Ci volle del tempo per riprendermi da quella delusione, ma il buco nero è rimasto pronto a riaffiorare ogni qualvolta manchi qualcosa in un certo ordine atteso. E non mi riferisco soltanto a mancanze fisiche quali scaffali, palizzate, bottoni, ecc.., ma ad altre come elenchi, inventari e soprattutto classificazioni. In quelle che riguardano un argomento che mi è particolarmente caro, cioè le figure retoriche del linguaggio poetico, non ne trovi una che non abbia almeno un buco nero.
Limitandoci a quelle che sono le proprietà fondamentali della parola, fisiche e concettuali, rispettivamente significanti e significati, le classificazioni si limitano a:
1) Figure del significante; 2) Figure del significato.
Ed ecco il primo buco nero; e il senso? Non sempre significato e senso coincidono. Se io dico “Ecco il leone” il significato è lampante, ma qual è il senso; quel leone voglio indicarlo, voglio fotografarlo, voglio catturarlo o voglio ucciderlo?. “Quella è la porta” vuole significare che sto indicando una porta lontana da chi parla e da chi ascolta. Ma con quale intenzione? Di farmela riparare da un falegname o di cacciare un seccatore? Togliamo allora il buco nero completando la classificazione in 1) Figure del significante; 2) Figure del significato; 3) figure di senso o semasiologiche o allegoriche dato che l’allegoria bene si presta a rappresentare il divario tra ciò che si dice e ciò che invece si vuole dire.
Un altro buco nero? Prendiamo le figure del significante. Esse vengono classificate in morfologiche e fonetiche in base rispettivamente alla forma e al suono. E la posizione della parola? Proviamo a cambiare la posizione di una sola parola da un verso di una poesia e ci accorgiamo subito del crollo che subisce il ritmo.
Togliamo allora quest’altro buco nero e completiamo la classificazione delle figure del significante in 1) Morfologiche; 2) Fonetiche; 3) Dell’ordine.
Tino Traina