Un proverbio siciliano diceva: “Lu rispettu è misuratu, portalu si lu vo purtatu”, ad indicare che il rispetto ha un valore e se lo vuoi portato dagli altri, prima lo devi praticare tu.
Per i nostri nonni il rispetto era sacro. Se una persona dava la sua parola d’onore per un impegno preso, la parola veniva rispettata a qualsiasi costo. Allora gli atti notarili o i contratti scritti per affari commerciali si usavano poco, bastava una promessa e una stretta di mano per firmare un accordo.
Allora, malgrado il maschilismo, c’era il massimo rispetto per le persone più grandi e per la famiglia, in modo particolare per i genitori ai quali, come rispetto si dava del “vossia”. Ma anche i fratelli più piccoli facevano lo stesso verso quelli più grandi.
Il rispetto veniva portato anche dalla malavita, compresa la mafia, verso le donne e i bambini.
Se parlo sempre con nostalgia della civiltà contadina, debbo pur ammettere che allora non si aveva rispetto per chi portava, per sua disgrazia, un handicap. Infatti veniva “cucchiatu”, cioè preso in giro e messo da parte dalla società.
Naturalmente si aveva il massimo rispetto e venerazione verso i Santi: in occasione di una ricorrenza festiva religiosa, con rispettiva processione, in senso di rispetto si scopavano le strade dove doveva passare il corteo. Questa usanza è giustificata dal fatto che a Castelvetrano la funzione del netturbino incominciò alla fine del 1800. Ogni famiglia aveva l’obbligo, per ordinanza del Comune, di pulire davanti la propria abitazione, fino a metà strada. Siccome pochissimi rispettavano questa disposizione, in eventi eccezionali, come arrivo di autorità o in occasione di ricorrenze festive si procedeva ad una pulizia più accurata nelle strade interessate dall’evento.
Diverso era il rispetto a senso unico portato dal contadino nei riguardi del proprietario terriero o del “camperi”, ai quali dava del “voscenza” e li salutava con: “assabenerica”, (vossia mi benedica), ricevendone in cambio, con aria da padrone, il tu. Quando Garibaldi a Salemi si proclamò dittatore, provvide all’abolizione del saluto “bacio le mani” e l’appellativo “voscenza”, come reminiscenze del feudalesimo ancora vigente in Sicilia, in rispetto della personalità del contadino povero.
“Assabenerica” era il saluto che rappresentava il massimo del rispetto portato verso la persona da salutare. Lo usavano i ragazzi per salutare “lu tata, la matri, lu tataranni, la mammaranni” (il padre, la madre, i nonni) e i parenti più grandi e più intimi; ma lo usavano anche i meno abbienti quando salutavano una persona più di riguardo, come pure il figlioccio rivolto al padrino.