Il Siciliano di una volta conservava, anche nell’età matura, un temperamento spontaneo vicino alla natura, senza sotterfugi, con trasporti di generosità e gelosie, gioie e dolori, allegrie e tristezze, rancori e perdoni, amori ed odi, come solo i ragazzi possono fare.
Per il suo carattere focoso, amava con tutta l’anima ma odi implacabili si tramandavano da padre in figlio per diverse generazioni, con conseguenze anche delittuose.
Le scene cavalleresche, rappresentate nell’ “Opra di li pupi”, sono l’espressione del suo carattere e delle sue virtù.
In una civiltà arcaica contadina e maschilista, il fuoco passionale lo rendeva geloso della sua donna e dell’onore. Per questo motivo il termine d’offesa più grave per un Siciliano è la parola “curnutu”. I delitti d’onore erano molto comuni; anche la legge si rendeva partecipe di questa realtà storica e concedeva un’attenuante al colpevole di un tale delitto. Infatti, per lavare l’onta dell’onore offeso, non bastava una condanna giudiziaria, l’onore si poteva lavare solo col sangue; vendicare l’onore offeso era un dovere che la natura, la società e Dio stesso prescrivevano.
Cesare Abba, nelle sue “Noterelle sulla Sicilia del 1860” scrive:- “…siamo in paesi dove la donna è cara più della vita, più della libertà.” –
La donna, di solito casalinga, dipendeva completamente dal padre o dal marito; morto il padre, dipendeva dai fratelli. I maschi della famiglia erano i tutori dell’onore della donna.
Eppure, “patruni e domini” (come si diceva nelle nostre parti) o “padre padrone” (come l’ha definito in Sardegna Gavino Ledda), aveva un comportamento cavalleresco nei riguardi della donna.
Un vero siciliano si sentiva d’essere “omu” e portava in sé altissimo il senso dell’onore per la famiglia, per la sua donna e, principalmente, per la parola data. Egli preferiva morire, piuttosto che venire meno alla sua parola. La parola data, secondo la concezione arcaica, resta scritta col sangue nell’onore.
I contratti, quasi sempre verbali, erano sigillati da una stretta di mano: “Cca la manu, l’affari è fattu”; seguiva immancabilmente una promessa, seguita da: “Parola d’onuri”. Purtroppo, anche allora, c’erano persone, che si vantavano d’essere “omini d’onuri”, ma solo a parole. A comprova, un proverbio diceva: “Genti assai ma omini picca”. Costoro, però, erano additati da tutti e perdevano la stima e l’attendibilità alla loro parola.
Vito Marino