Una premessa appare necessaria: Partanna è il paese della scuola. Almeno sul piano quantitativo. L’analisi sociologica di questo paese è di una semplicità estrema. Se incontri tre persone che passeggiano puoi andare sul sicuro: due sono maestri, il terzo è professore di educazione fisica. Di cosa vuoi che discutano se non di scuola? C’è chi è in pensione, è vero, e questo è un paese di vecchi, ma chi non ha un figlio, un cugino, un nipote che non è nel mondo della scuola o che non aspiri ad entrarvi? Noi non viviamo sotto un cielo, ma sotto il Ministero della Pubblica istruzione. E di notte, da paese di stelle, Partanna vede le comete di coloro che per fare i maestri o i professori sono altro, DEPORTATI come si autodefiniscono. In realtà coloro che hanno esplicato la funzione docente nel nord hanno migliorato la loro preparazione e soprattutto hanno introiettato una concezione del bambino come essere che va cresciuto alla democrazia con metodi democratici. Non posso educare alla legalità se non con metodi legali, non si educa alla democrazia a suon di sberle. E’ vero, tutti noi vecchi abbiamo dovuto re-imparare il concetto di INSEGNARE. Prima sapevamo – e solo sulla base della nostra esperienza – che insegnare voleva dire sì “lasciare il segno: e questo per via del solito compagno di classe cretino che alla richiesta del professore (in realtà maestro e spesso di quelli diplomati senza sapere un tubazzo ma adeguati al regime: bastava arrivare all’esame tipo “libro e moschetto fascista perfetto”) di portare una bacchetta di frassino con la scusa di segnare la carta geografica, provocava una strage: i segni fisici sulle nostre gambe sono scomparsi, rimangono le ferite nell’anima. Perciò ciascuno di noi porta sé fanciullo come una spina nel cuore (Sicily, Mursia editore). Dicono che non c’è modo migliore di rendersi infelici che rivolgersi al passato. E noi partannesi nella nostra filosofia di vita abbiamo come primo comandamento la I legge di Murhy: se una cosa può andar male, sicuramente andrà peggio. E allora – visto che al presente come scuola siamo al ventiquattresimo posto e abbiamo un falso tempo pieno che grida vendetta al cielo, pensiamo al futuro. I docenti partannesi sono dappertutto. E’ vero che sia stato Armstrong a mettere il piede per primo sulla luna: ma le cronache non dicono che trovò una pluriclasse accanto al camino dove c’era un maestro partannese che insegnava con la legge 104/92 per sé e per un lontano parente che viveva da tempo nei Caraibi. Nel bene e nel male abbiamo insegnato l’alfabeto e il far di conto a tutti i leghisti. E allora perché questa “risorsa umana” che il nostro Paese ha nel proprio DNA non la implementiamo? (empowerment in termine tecnico). E’ uscito il bando del Concorso a Dirigente scolastico. Perché i docenti partannesi non lo fanno? Se non per sé, almeno per amore di Partanna. Non solletica l’idea di poter un giorno conquistare se non la luna, almeno il resto d’Italia. Ricordate D’Azeglio? L’Italia è fatta, bisogna fare gli italiani. Non ci riuscì, ci riuscì invece la televisione. Perciò siamo sudditi. La Tv veicola valori del nord. I partannesi invece manderebbero i valori della nostra città: porteremmo l’invidia laddove non c’è, lo sparlìo dove non si conosce, i pettegolezzi dappertutto e soprattutto la nostra capacità di “ANNACARSI”: nessuno è bravo come noi a muoversi senza spostarsi. E perciò molti docenti partannesi che vorrebbero fare il salto (e chi ha detto che sarebbe di qualità? Basta guardarsi in giro!) si rivolgono a Enti sconosciuti e truffaldini che non ci mettono la faccia. Capisco. E mi scuso per la seguente citazione che può sembrare dotta: noi non abbiamo motivazione. Stiamo bene con le nostre care, reiterate, vecchie abitudini. La vera motivazione si basa sulla scala dei bisogni di Maslow nei cui primi gradini c’è il bisogno di cibo e di sicurezza e poi al livello IV il bisogno di status, basato sul riconoscimento del titolo: maresciallo, professore, farmacista, direttore di Enti inutili regionali, Presidenti di associazioni culturali…E ci si ferma. L’ultimo grado è quello dell’autorealizzazione: voglio fare quello per cui sono portato e che mi farà sentire felice; perché accontentarsi di essere quello che si è se si può essere qualcosa di migliore? Ma l’ultimo grado impone rifiuti e scelte: è il grado dei divorzi, della solitudine, dello scegliere il PIACERSI invece che di piacere. Ed è rischioso: ad uno può piacere essere masochista. E la sua autorealizzazione potrebbe comportare scelte mistiche come la seguente: C’è un guru indiano che ha deciso di diventare insensibile al dolore. E si trova sopra un muro con una pietra enorme che si batte ritmicamente sui testicoli. Un colpo via l’altro. Senza un grido. Una signora inorridita lo guarda e dice: “Ma che fa? La smetta!”. Il guro continua. La signora insiste una volta, due, n volte. “Ma la smetta di schiacciarsi i testicoli!”. Esasperato il guro, prima tollerante, esplode: “Ma lei la vuol smettere di rompermi le palle?”
Meditate gente. Meditate.
Ah. A proposito: insegnare vuol dire far entrare nel mondo dei segni. Qui viviamo nel migliore dei mondi possibili. Come Pangloss in Candido. Partanna è un paese di sogno. Solo che i vecchi dormono poco e sognano ancora meno.
Vito Piazza