L’apparaturi

Nel dopoguerra e fino agli anni ’60 circa, con la ripresa economica, le chiese aperte al culto erano più numerose di oggi e le feste religiose si susseguivano una dopo un’altra. Ad ogni Santo da festeggiare la chiesa si “apparava” (arredava) con ornamenti fastosi barocchi, fatti di stoffe di seta, damasco e velluto che dal tetto scendevano fino a terra e ornati con frange e angeli di carta dorate. l’altare era generosamente adorno di fiori e l’illuminazione era fastosa.

La statua del santo da festeggiare, come avviene ancora oggi si portava in processione, posto su un carro o a spalla, ornato di angeli di cartapesta, palme, fiori, sete e lampadine o candele accese, tutto un addobbo pomposo.

Sia in chiesa che sul carro occorreva l’opera e l’esperienza dell’apparaturi, un mestiere oggi quasi scomparso. Le spese relative erano a carico della chiesa che provvedeva con i propri redditi, mentre le spese da affrontare fuori della chiesa, specialmente se si trattava della festività per il Patrono della città, provvedeva il Comune, che in quei giorni di festa provvedeva anche ad esporre la bandiera italiana in tutti gli uffici pubblici.

In quegli anni tutti gli ornamenti fatti in chiesa e sul carro erano opera di don Pippinu Vaiana, meglio conosciuto come “l’apparaturi” per antonomasia.   Egli apparteneva ad una famiglia che si è tramandato quel mestiere per varie generazioni. Il capostipite fu il padre Luigi Vaiana, che, assieme al figlio esercitavano anche il mestiere di fotografo. Don Pippinu ha tramandato questo mestiere al figlio Umberto, che a sua volta l’ha trasmesso a suo figlio Edoardo.

Don Pippinu era così noto ai Castelvetranesi, che un proverbio locale diceva: “cu t’apparà Vaiana?” Per significare: “come ti sei vestito? oppure: “chi ti ha vestito in quel modo”? Ma come concorrente di don Pippinu c’era in quegli anni suo cugino Nunzio Vaiana, pure “apparaturi”, con il quale erano in competizione. Con delle apposite modifiche egli ornava la chiesa anche in caso di matrimonio e all’occorrenza la sapeva ornare a lutto, come nel caso del Venerdì Santo o in caso di funerali. Inoltre, in occasione di alcune processioni come quella del “Signuri di lu tri di Maiu” (il SS. Crocifisso dei padri Cappuccini), in occasione del “posu” (sosta) organizzato dai fedeli, l’apparaturi preparava un altarino con tanti ornamenti di fiori, piante e statue o quadri di Santi e tovaglie bianche. Le spese relative erano a carico della chiesa che provvedeva con i propri redditi, mentre le spese da affrontare fuori della chiesa, specialmente se si trattava della festività per il Patrono della città, provvedeva il comune, che in quei giorni di festa provvedeva ad esporre la bandiera italiana in tutti gli uffici pubblici.

Don Pippinu Vaiana era anche uno specialista nel preparare i fantocci del “nannu e la nanna” da bruciare in Piazza la sera del martedì grasso “sdirri martiri”, a conclusione del Carnevale. Anche se si trattava di casi eccezionali, il Vaiana era capace di preparare in casa degli interessati, un vero altare, per potere effettuare la cerimonia religiosa del matrimonio.

    Vito Marino

 


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