Austu e riustu su’ capi di mmernu giustu

Ai tempi della mia infanzia l’anno agrario era diviso sostanzialmente in due stagioni: “la staciuni” e “lu mmernu”. – Per Staciuni si intendeva la stagione buona, quella “di li misi granni” e di “maiu lu longu” con le giornate più lunghe ed il cielo più luminoso; essa iniziava con il mese di gennaio e comprendeva tutto “Giugnettu” (luglio). I proprietari terrieri approfittavano delle giornate più lunghe, per “adduvari l’omini” (assumere lavoratori giornalieri) per fare eseguire tutti quei lavori necessari per preparare i campi al risveglio della natura (arare, zappare, potare). Era infatti consuetudine sfruttare “lu iurnateri” facendolo lavorare “di lu scuru a lu scuru” per come si soleva dire allora (dalla mattina presto quasi al buio, fino alla sera tardi dopo il tramonto). Le giornate più lunghe facevano comodo anche al “burgisi” (piccolo proprietario terriero), che già perdeva delle ore per recarsi sul posto di lavoro con l’asinello. “…all’alba muovono per campi lontani, vi arrivano, si mettono all’opera, che quasi è l’ora di tornare…”. Così ebbe a scrivere Cesare Abba, scrittore garibaldino, uno dei Mille, quando descriveva le campagne abbandonate attorno a Roccapalumba.
– “Lu mmernu”, invece, iniziava ad agosto e finiva a dicembre. “Austu e riustu su’ capi di ‘mmernu giustu” (Agosto e settembre sono l’inizio del vero inverno); così sentenziava un proverbio antico! Infatti ad agosto le giornate incominciano ad accorciare ed iniziano i primi acquazzoni. Quando si voleva indicare l’autunno si diceva: “quannu arrifrisca lu tempu” oppure “ a la rifriscata di lu tempu”; mentre, volendo riferirsi alla primavera, si diceva “quannu agghiorna lu tempu” oppure “a lu tempu di li mali vistuti” cioè quando a causa del tempo sempre incerto, non si sa mai come vestirsi. A comprova di questa antica suddivisione stagionale, un altro antico proverbio siciliano diceva: “Innaru: capu di stati e austu capu di mmernu”. Un altro proverbio sulle condizioni del tempo invernale dice: “Pi Tutti li Santi la nivi a li canti”; questo proverbio è relativamente veritiero, durante la mia vita solo una volta ho visto del nevischio agli angoli delle strade per tale periodo. Posso invece documentare il contrario, perchè è da diversi anni che faccio il bagno al mare anche fino a fine novembre, con giornate meravigliose. Per rispondere agli scienziati che annunciano l’arrivo dell’era glaciale quando l’inverno è eccessivamente freddo (lo hanno detto alcuni anni fa, quando l’Italia era stata divisa in due dalla neve e dal ghiaccio) o il martellante avviso del riscaldamento globale quando fa caldo, nella mia lunga esistenza ho notato dei cambiamenti climatici notevoli, che voglio citare: I contadini anziani mi hanno riferito che intorno agli anni ’40 – 50 gli inverni erano molto piovosi e “li siminati squaravanu” (le piantine di grano nei terreni con eccessiva umidità morivano). I canali scavati ai margini dei campi erano pieni d’acqua che scorreva fino a maggio. E’ seguìto un lungo periodo di siccità di circa mezzo secolo; quindi il ciclo della natura è ricominciato: circa dieci anni fa, a causa delle piogge abbondantissime, interi uliveti sono morti. Questa pioggia abbondante è continuata in tutti questi anni, regolarmente fino ad oggi in fase crescente. Negli anni 1956/60, viaggiando col treno, per motivi di studi, vedevo il lago Perola in territorio di Mazara del Vallo, sempre pieno d’acqua. Per la continua siccità, già citata, per un decennio è rimasto asciutto completamente e si è riempito in questi anni di pioggia abbondante. Quindi, malgrado gli allarmismi, questo pianeta meraviglioso riesce a superare i danni arrecati dall’uomo e a far rinascere e perpetuare la vita. Ma, bisogna stare attenti a non approfittare troppo: “tantu va lu nziru a lu puzzu, chi si rumpi o si ciacca” (tanto va la brocca al pozzo, che si rompe o si lesiona); evidentemente la brocca è di terracotta, quindi fragile come l’equilibrio del nostro pianeta.

Vito Marino


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