Un’abitudine tutta italiana, ma a Partanna assume modalità endemiche, antropologiche, culturali: è l’abitudine al rimprovero quasi come fosse un valore. I partannesi si dividono in due categorie: i rimproveranti e i rimproverati. Ma non si tratta di categorie statiche, quasi blocchi contrapposti come furono Stati Uniti e Unione Sovietica nel periodo della guerra fredda. Qui si passa facilmente dall’una all’altra categoria. E così un capoufficio che rimprovera i dipendenti per qualche mancanza diventa rimproverato quando, arrivando a casa, la moglie lo rimprovera: “Ti sei dimenticato di comprare il detersivo? Sei il solito distratto! E così di rimprovero in rimprovero sorge una sorta di gerarchia: il padre rimprovera il figlio maggiore, questi rimprovera il figlio più piccolo e questi l’amico…. Ma questo rientrerebbe nella logica delle cose, non sarebbe “partannese”. E allora andiamo nei gangli della vita quotidiana: la suocera rimprovera la nuora che si lamenta di non essere riuscita ad ottenere un bianco che più bianco non si può: “Non è che non ci riesci, sei tu che hai sbagliato candeggio”, il marito che rimprovera la moglie di non essere capace di cucinare come cucinava la madre, il maestro che rimprovera l’alunno di non conoscere le Alpi, dimenticandosi che non aveva mai insegnato le Alpi, il papà che rimprovera il bambino di fare rumore mangiando la pasta e fagioli dimenticandosi che lui stesso ha mangiato lo stesso piatto rumoreggiando come un’idrovora che succhia il fango dopo una bomba d’acqua o un disastro meteorologico. Ma il top qui si raggiunge con l’artigiano chiamato e pagato profumatamente per un intervento, un “nolito”. Poniamo sia un guasto idraulico. Appena scoperto l’artigiano o il tecnico assale il cliente: Ma ora ci doveva pensare? Qui è tutto intasato. Io non posso farci più niente. Qui è tutto da cambiare. Lei doveva stare attento e pensarci prima. E il cliente più che attento c’era stato, solo che il tecnico non era mai libero, più impegnato di una levatrice di un tempo. Gli esempi appartengono alla commedia. Ma il rimprovero può assumere forme drammatiche. Ricordo di aver chiamato lo stesso tecnico che mi aveva fatto l’impianto idraulico a casa. Il motivo? Dopo qualche anno c’erano perdite d’acqua dal muro. Cominciò a trivellare per “scoprire” dove passassero i tubi. Ad ogni buco diceva: “Non è qui” oppure: E ccà guai avemu! Ma cu ci lu fici stu mpiantu? LEI. E lui pronto: Ah, ma cca quacchi autru ci misi manu. Mi ritrovai le pareti come una enorme forma di gruviera, il famoso formaggio fatto più di buchi che di formaggio. Ma torniamo al RIMPROVERO. E’ proteiforme, cambia come un camaleonte. A volte assume la forma del consiglio: tu non devi prendertela. Come se fosse facile non prendersela. Oppure: Ancora fumi? Allura vo moriri. Senti a mia… O assume la forma dell’incontro psicologico: Lei vede sempre il bicchiere mezzo vuoto. Anche per la psicologa è così, ma si sente in dovere – E SOPRATTUTTO in GRADO – di dare consigli quando è lei che ne avrebbe bisogno, della serie: Lu jmmuruto di mezzu la via, la ‘obba di l’atri vidia, ma la so un si la talia. Ma l’aspetto più inquietante riguarda l’amicizia. Se volete sapere davvero se uno vi è amico o meno osservate quanti rimproveri vi fa. Il rimprovero impone sempre di stare un gradino più in alto, l’amico si sente migliore di voi. Perciò: eliminatelo. E fate vostro lo slogan dei camionisti: dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Iddio. A Partanna? Mission impossibile.
Vito Piazza ispettore emerito.