di Enzo Minio La possibile liberalizzazione della concessione di ricerca di idrocarburi nel Canale di Sicilia, sulla costa che da Trapani va fino a Ragusa, ha messo in allarme gli ambientalisti, le popolazioni delle città litoranee e soprattutto Domenico Macaluso, medico chirurgo riberese, ispettore onorario dei Beni Culturali della Regione Siciliana, per la Geologia Marina, responsabile scientifico del settore Mare del WWF Sicilia Area Mediterranea, il sommozzatore che ha contribuito alla scoperta del grande complesso vulcanico “Empedocle” nello Stretto di Sicilia, di fronte la costa agrigentina. “Non si tratta di creare facile allarmismo – denuncia Macaluso – affermare che il rischio, legato alle prospezioni/estrazioni di idrocarburi in aree sismicamente attive come lo Stretto di Sicilia, è rappresentato proprio dallo status geologico di quest’area ed è di questo geo-hazard che bisogna tenere conto prima di rilasciare una concessione da parte del comitato di valutazione di impatto ambientale e del governo. E per fortuna che in Italia non è stata autorizzata la tecnica del “fracking”, una micidiale procedura di estrazione mediante fratturazione delle rocce ed iniezione di fluidi e di additivi ad altissima pressione, con rischio di subsidenza del suolo e con possibilità di innescare terremoti ed inquinamento delle acque e dei fondali marini”.
Il ricercatore Macaluso precisa che il Canale di Sicilia fa registrare in un anno terremoti di magnitudo superiore a 4 gradi della scala Richter, in un’area dove c’è un gruppo di sistemi vulcanici in parte attivi che vanno dall’isola Ferdinandea, nata e scomparsa nel 1831, ai vulcani recentemente scoperti quasi di fronte le coste agrigentine, come gli otto edifici vulcanici, rinvenuti nel corso di una crociera oceanografica scientifica che ha portato all’individuazione del complesso vulcanico che, grande quasi quanto l’Etna, è stato battezzato dal nome dello scienziato agrigentino “Empedocle”, complesso entrato a far parte della topografia ufficiale redatta dall’Onu. Un ricercatore dell’Ogs, Emanuele Lodoto – sottolinea l’ispettore riberese – nel luglio del 2019 ha annunciato il rinvenimento di altri sette vulcani sottomarini prospicienti le coste sud-occidentali dell’Isola, proprio nell’area interessata dalle prospezioni finalizzate alla estrazione di idrocarburi. Domenico Macaluso, che ha collaborato anche con l’INGV di Catania, non ricorda soltanto il terremoto di Messina del 1908 o quello del Belice nel 1968, relativamente lontani, ma riferisce dello tsunami dell’11 novembre 1951 che distrusse le strutture portuali di Sciacca, provocando la dispersione della flottiglia peschereccia, per fortuna senza vittime ed il terremoto avvenuto nel Ragusano del 4° grado Richter il 22 dicembre scorso e tutto questo in prossimità di un tratto di mare interessato da trivellazioni come quelli di Gela, dove già esistono pozzi, ad appena 17 chilometri da vulcani di fango, espressione di un altro elemento di geo-hazard, il fenomeno del vulcanesimo sedimentario. “Quasi di fronte a Sciacca, nel mare tra Menfi e Castelvetrano ed in prossimità del punto dove giace ad 8 metri sotto il livello del mare, l’estremità del cono vulcanico dell’isola Ferdinandea – afferma il subacqueo riberese – si registra anche la presenza di campi di “pockmark”, crateri formatisi in seguito alla liberazione di metano dai fondali, emissioni che fanno ribollire l’acqua marina, fenomeno ben visibile dopo esplosioni di sacche di gas. Il monitoraggio di questi fondali è pressoché inesistente. Eruzioni di tipo esplosivo potrebbero generare tsunami e devastare una costa densamente popolata. Il 10 aprile del 2007 di fronte le coste di Sciacca, alle 21,20, si manifestò un terremoto di magnitudo 4.3. In città venne avvertito un forte boato proveniente dal mare. La mattina successiva abbiamo sorvolato, con un elicottero della Protezione Civile, il tratto di mare epicentro del sisma, sospettando una eruzione vulcanica, ma abbiamo constatato che l’esplosione sottomarina era stata originata da una sacca di gas che flottava ancora sulla superficie del mare”. Con la sospensione del provvedimento che bloccava le trivellazioni, previsto nella bozza del decreto Milleproroghe, le società petrolifere tornano all’attacco, con 53 richieste di autorizzazioni, anche in zone calde come Pantelleria, vulcano considerato attivo e con una camera magmatica in espansione.