Finanziamento di 5 milioni di euro per un intervento di studio e restauro del Tempio G di Selinunte

SELINUNTE – Ridonare al Tempio G di Selinunte la sua maestosità. Recuperare la sua storia, riconsegnargli la sua posizione predominante. È un progetto che passerà alla storia quello a cui si sta lavorando al parco archeologico siciliano, lo stesso che qualche mese addietro è riuscito a ridefinire la sua agorà, 33 mila mq. Enorme, come enormi erano le architetture: il Tempio G, che risale al V secolo a.C., è lungo ben 109 metri e largo 50; ciascuna colonna era alta oltre 16 metri e l’intero edificio raggiungeva circa i 30 metri. La costruzione durò alcuni decenni e i suoi elementi non vennero mai rifiniti, ma era completo nella sua struttura architettonica e in uso. Crollò probabilmente per eventi naturali (forse alcuni terremoti soprattutto in età medievale).

Su proposta dell’assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà, il governo regionale uscente, con un finanziamento di 5 milioni di euro, già da tempo ha approvato il “Progetto di valorizzazione del parco archeologico di Selinunte”, che prevede un grande intervento di studio e di restauro. Entro fine anno la Regione Siciliana pubblicherà la gara per dare il via al grande cantiere fortemente voluto dall’assessore Samonà, mirato ad acquisire nuovi dati e conoscenze sul tempio selinuntino, al restauro e ricomposizione di alcune parti, fra cui le tre gigantesche colonne del lato meridionale (di cui sono stati individuati con certezza gli elementi strutturali), che saranno ricollocate con i relativi capitelli. E sarà anche recuperato il “Fuso della Vecchia”, la colonna restaurata nel 1832 dallo scultore Valerio Villareale su commissione del Duca di Serradifalco. La ricomposizione del Tempio G era stata caldeggiata a suo tempo da Sebastiano Tusa nelle vesti di archeologo e sovrintendente del mare, prima di diventare assessore. Successivamente anche Vittorio Sgarbi, da assessore, aveva ipotizzato l’anastilosi del Tempio G: un affascinante crollo di un immenso monumento nell’antichità, diviene oggi un cantiere di studio parlante e aperto al pubblico, che potrà essere seguito da visitatori, studenti e ricercatori.

Individuato il gruppo di lavoro, dunque, toccava al finanziamento; le risorse sono state individuate già nel dicembre 2020, ma soltanto quest’estate è arrivato l’ok definitivo al finanziamento da parte della Ragioneria Generale. Da tempo stanno lavorando al progetto gli archeologi Valerio Massimo Manfredi (con all’attivo numerose pubblicazioni e docenze in Italia e all’estero), Oscar Mei (allievo di Mario Luni, è docente di Archeologia classica presso l’Università di Urbino, presidente del Centro studi vitruviani e direttore della missione archeologica a Cirene), Claudio Parisi Presicce (attuale soprintendente dei Beni culturali di Roma Capitale e membro di numerose missioni archeologiche italiane e internazionali, fra cui la missione Malophoros a Selinunte); ma è in programma l’avvio di importanti collaborazioni scientifiche con le principali università siciliane e non solo. Nella primavera dell’anno prossimo sarà organizzata una Giornata nazionale di studio, nel corso della quale saranno presentati al mondo scientifico i risultati delle ricerche svolte sul Tempio G e il progetto complessivo.

IL MISTERIOSO TEMPIO G

Il tempio G di Selinunte, il più grande tempio periptero (circondato da colonne) della Sicilia e tra i più grandi del Mediterraneo, è oggi un immenso cumulo di rovine. Un rilievo preciso del tempio e del suo crollo, con un preciso riconoscimento degli elementi pertinenti ad ognuna delle 54 colonne della peristasi, venne realizzato tra 2010 e 2011 dall’équipe dell’Università di Urbino diretta da Mario Luni; un secondo rilievo condotto con metodi laser scanning e fotogrammetrici, è stato realizzato più di recente quando si iniziò a ipotizzare la ricomposizione virtuale di alcune sue parti. Posto sulla collina orientale dell’antica Selinunte, era probabilmente dedicato a Zeus per le sue dimensioni (ma su questo gli archeologi non sono d’accordo, alcuni ipotizzano un Apollonnion) e viene datato tra il 530 e il 490 circa a.C. La sua costruzione è durata alcuni decenni, con cambiamenti di stile, si passa dal lato est, dove era l’ingresso del tempio, più arcaica, a quello ovest, di ispirazione più classica. C’è dentro tutta l’evoluzione dello stile dorico a Selinunte: il Tempio G fu completato nella sua struttura, ma mai rifinito, e si è sempre parlato di una sua possibile anastilosi.

Siamo nel 1789 e il principe di Torremuzza, appassionato di archeologia, che si è già occupato di Segesta e Agrigento, invia al Governo la proposta di rimettere in piedi il tempio G. Proposta che cade nel vuoto e ci si dimentica completamente di Selinunte. Nel 1823 la scoperta delle metope dei templi F, E e C grazie agli architetti inglesi William Harris e Samuel Angell. Quattro anni dopo un altro nobile siciliano, il duca di Serradifalco, riporta l’attenzione sul sito praticamente dimenticato e, nel 1867, dopo un sopralluogo, decide di dare il via a due campagne di scavo affidate a Valerio Villareale e Francesco Saverio Cavallari. Fu in questa occasione che venne rialzata una delle colonne, alta 16 metri, che si erge oggi solitaria tra le rovine di quello che un tempo fu uno dei templi più grandi in assoluto. Il cosiddetto Fuso de la vecchia – che pesca il titolo da antiche leggende fiorite in zona – ricorda nella sua forma l’attrezzo usato per filare.

Un particolare curioso e che rimane un mistero, è la mancanza dell’altare sul lato est, sul cui ipotetico posizionamento inizieranno a breve alcune indagini per chiarire definitivamente una delle due ipotesi: non è stato mai realizzato perché il tempio non fu completato? oppure è ancora sepolto sotto uno strato di detriti?

Le operazioni di restauro e la progettazione della ricostruzione integrale delle colonne sarà un’occasione per chiarire un aspetto fondamentale: cioè se il progetto originario del tempio prevedeva un peristilio con una sola fila di colonne, oppure era un pseudodiptero (con lo spazio per una doppia fila di colonne attorno alla cella), considerando che tra il muro della cella ed il peristilio è presente uno spazio sufficiente ad ospitarle. L’indizio trova riscontro nel fatto che nelle Cave di Cusa – che, visitabili come parte del percorso del Parco archeologico, ospitano una sezione della mostra Ars Aedificandi – erano presenti ancora da estrarre o già in fase di trasferimento a Selinunte, ben 62 rocchi di colonne, oltre quelle fatte brillare lungo la strada dai contadini per liberare i fondi da questi massi.


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