Contro la logica dell’appartenenza

di Vito Piazza

Circa quindici anni fa (o più) quando il mio amico Leoluca Orlando durante un convegno a Milano al Circolo Perini mi passò un foglio con scritto  “A Vito perché sia Rete” io gli rigirai il foglio sovrapponendo la mia scritta ”A Luca, perché Vito non è un pesce”. Nando dalla Chiesa si mise a ridere mentre il pubblico non capiva.

Da diffidente siciliano avevo paura del nuovo. E poi, quando Leoluca abbandonò Palermo – ricordate la primavera di Palermo? – per altri lidi, pensavo di aver avuto ragione. Non gli perdonai il fatto di aver abbandonato Palermo nel momento del bisogno, quando le lenzuola erano stese ai balconi, quando sembrava che forse con la mafia avremmo vinto. Leoluca aveva tradito la Sicilia e tanto bastava. Credo che questo modo di ragionare non sia solo il mio, ma di tanti siciliani, partannesi in testa dato che a Partanna si concentrano le migliori virtù e i peggiori vizi di questa terra straziata, usata, fatta a pezzi, dove si cambia tutto per non cambiare nulla.  “Irredimibile” la chiamava Sciascia che ebbe il torto di parlare dei “professionisti dell’antimafia” smentito purtroppo da Livatino, il giudice ragazzino, da Falcone e da Borsellino per non parlare che dei più noti. Ma Sciascia fece ammenda e sulla sua tomba c’è un epitaffio che dovrebbe far riflettere tutti: CONTRADDICO E MI CONTRADDICO. Chi ha letto l’articolo del numero precedente ha potuto avere l’impressione che il sottoscritto sia favorevole alle raccomandazioni. Perciò “mi corre l’obbligo” per quei 4 lettori che mi vogliono ancora bene malgrado i miei articoli su Kleos, precisare, aperto ad ogni smentita:

1. Quando ci fu l’epoca d’oro dei corsi biennali, io ero responsabile di ben 13 corsi nel nord Italia. Venni assalito da tutti. A nessuno venne in mente che avevo rifiutato di fare il presidente dell’ANFI di Salemi perché i posti erano 60 e sulla mia segreteria telefonica milanese avevo duemila raccomandazioni.

2. Accettai a Milano e nel nord Italia non come ISPETTORE, ma come docente dell’Università di Milano. E lì feci entrare chiunque me lo chiedesse visto che non ero obbligato – come docente dell’Università – e NON come Ispettore a diramare circolari. Potevo non far sapere nulla a nessuno, l’interessato, se tale, avrebbe dovuto produrre LUI domanda.

Contraddico. Ma soprattutto mi contraddico. Piccolo ma siciliano come il grande Sciascia. Erano i tempi della Lega e del suo impero incontrastato su Milano.

I terroni venivamo discriminati. Chi scrive aveva vissuto il periodo dei cartelli NON SI AFFITTA AI MERIDIONALI.  Che cosa ho fatto allora?

Non ho pubblicizzato i corsi al Nord. Non ero tenuto. Li ho pubblicizzati nella  città che amo, più bisognosa che Bolzano o Trento,  cosa che Leoluca non aveva fatto e che Berlusconi fece (da megalomane, un milione di posti di lavoro lui, io semplicemente 140). Ed ecco un altro piccolo miracolo economico. MA NON HO RACCOMANDATO NESSUNO. Diciamo che ho lasciato la porta aperta “dimenticandomi” dei leghisti del Nord.

Vuol dire che sono favorevole alle raccomandazioni?

O che amo il Sud? E che nel mio piccolo ho “sistemato” dei perfetti “sconosciuti” in cambio di NIENTE.

Don Milani diceva che far parti uguali tra diseguali è somma ingiustizia.

I maestri milanesi avevano già tanto. Quelli di Partanna niente.

Avrei voluto aprire le porte a TUTTI i ragazzi partannesi in difficoltà. Rifarei quanto ho fatto. Mi si dirà: e che centra Leoluca Orlando?

Da lui ho imparato che per vincere (non le elezioni, ma nella vita) bisogna superare l’appartenenza. Viviamo in una logica di appartenenza. A uno che non si conosce non si dice forse “A cu apparteni?” E poi gli si chiede qualcosa in cambio, un voto, dei soldi, un debito. Io sono stato zitto. È vero, volevo un maggior riconoscimento e soprattutto che venissi ricordato per la mia discrezione e onestà. Poco il raccolto, poca la riconoscenza. E sentirsi attaccato proprio da chi hai fatto “sistemare” i figli, gli amici, i conoscenti, gli elettori (facendo il mio nome a sproposito), fa male. Non sono Sciascia, non sono Orlando. Non sono un politico. Sono, molto semplicemente, un uomo di Partanna COSTRETTO ad essere onesto da mia madre, dagli insegnamenti di una donna con la prima elementare condannata a vivere nelle baracche dai politici di allora e molti di adesso a scontare il piacere dell’onestà in quel carcere chiamato Baraccopoli di Vallesecco. Lei vive in me. Non so se essergli obbligato per il piacere dell’onestà o volergliene perché molti a Partanna confondono l’onestà con la stupidaggine, la furbizia con l’intelligenza, la cultura con lo scrivere poesie seduti su un water.

Io, non appartengo a nessuno. Non sono neppure in vendita. Non costo nulla.

Già: forse non appartengo neanche a me stesso. Spesso mi chiedo chi è il mandante delle cazzate che faccio.

Contraddico. E mi contraddico.


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