PARTANNA – Pubblichiamo a puntate la seconda parte dell’opera (la prima è stata pubblicata ieri 2 marzo, la terza sarà pubblicata sabato 9 marzo alle ore 17) “SOSPETTO E VERITA’ sui funerali di Rita Atria” del dirigente scolastico in pensione e storico, Antonino Passalacqua, collaboratore di Kleos, in cui l’autore intende “ristabilire” la verità sulla posizione della Chiesa cittadina in relazione ai funerali di Rita Atria svoltisi a Partanna il 31 luglio 1992.
SECONDA PARTE
Nino Passalacqua
SOSPETTO E VERITÀ sui funerali di Rita Atria
Edizioni Kleos
Cap. III
GLI ANTEFATTI
La vicenda in cui si innesta il “sospetto”, oggetto della nostra indagine, nasce e si sviluppa nel complesso mondo del collaborazionismo di giustizia che tanta parte ha avuto, in questi ultimi anni, nell’offensiva messa in atto dallo Stato nei confronti della mafia, con evidenti successi.
Rita Atria rappresenta un elemento di questo fenomeno.
Ma è chiaro che la sua storia di collaboratrice di giustizia, pur rappresentando connotati paralleli a quelli di molti suoi colleghi, è una storia a sé, se non altro per quel terrificante “salto” che ha posto fine alla sua giovane esistenza.
Fedeli al nostro proposito di far sentire il meno possibile la nostra presenza in questa ricerca e di “far parlare”, invece, i fatti attraverso i documenti esistenti in questo campo, offriremo al lettore l’opportunità di ripercorrere le tappe fondamentali della vita di Rita Atria attraverso la sua biografia scritta da una giovane giornalista palermitana, Sandra Rizza, che ha lavorato in passato al quotidiano “L’Ora” di Palermo e che collaborava, all’epoca dei fatti, al settimanale “Panorama”.
Per la verità, l’opuscolo della Rizza, “Una ragazza contro la mafia”, edito dalle Edizioni La Luna di Palermo nel 1993, a prima vista appare come una storia romanzata. Ma l’uso costante di “resoconti giornalistici”, di verbali e atti giudiziari, di interviste ai protagonisti delle vicende trattate, mentre rendono coinvolgente la lettura, garantiscono la veridicità del racconto, almeno in quelle parti da noi utilizzate, tanto da farle perdonare qualche sbavatura ad effetto.
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Al fine di consentire al lettore un più gradevole accesso ai fatti, distribuiremo la narrazione sotto forma di “puntate”, richiamando, di volta in volta, il capitolo e le pagine da cui risultano tratte, intervenendo soltanto con poche parole poste a mo’ di aggancio teso a concatenare le scene.
E ora lasciamo la parola alla Rizza:
“Una settimana dopo l’assassinio di Paolo Borsellino, Rita Atria muore suicida, precipitando dal balcone dell’anonimo caseggiato romano dove è costretta a vivere per sfuggire alla vendetta mafiosa.
Al magistrato ucciso, la ragazza, che aveva appena diciassette anni, ha raccontato trame e misteri del suo paese, Partanna, in provincia di Trapani. Lo ha fatto dopo aver visto morire il padre, temuto uomo di fiducia dei “padrini” del paese, e il fratello Nicola, “picciotto” della nuova generazione, che cercava il modo di vendicarlo. Ha raccontato quello che sapeva ai magistrati, avversata e condannata dalla madre, donna di una Sicilia arcaica, di violenti passioni e vecchie culture, che non comprende né condivide la ribellione della figlia”.
(Sandra Rizza: “Una ragazza contro la mafia”, Ed. La Luna, Palermo, 1993, dalla 2^ di copertina)
“Che infanzia, quella di Rita Atria, testimone involontaria di mille intrallazzi…Undici anni li aveva festeggiati da poco, il giorno che portarono a casa il corpo sforacchiato dai proiettili di don Vito, suo padre: era il 18 Novembre 1985 … Quella sera, quando rimasero soli, Nicola giurò davanti a tutta la famiglia: io sono quello che ci deve pensare, un giuramento di poche parole, con
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la mamma che andava implorando per casa che tutto finisse presto, sangue e morte, lacrime e dolore …
Discorsi persi: il 24 giugno 1991, Nicola Atria è un cadavere incrostato di sangue secco sul tavolo di marmo dell’obitorio”
(Ibidem, cap. I, pagg. 12, 13, 16)
“Non volle commettere lo stesso errore Rita … o forse non può, visto che le è toccato in sorte di essere femmina e una femmina non può certo andarsene in giro a sparare. Un’eredità davvero pesante la sua: adesso, di morti da vendicare ce ne sono due …”
(Ibidem, cap. 7, pag. 77)
(Ella decide, perciò, di seguire l’esempio della cognata, la vedova del fratello Nicola, che già aveva scelto di collaborare con la giustizia e, per questo, si trova a Roma).
“E Rita parla, parla, parla e non si ferma più … Sa che è l’unico modo per sbatterli tutti in cella, gli assassini di don Vito, i sicari di Nicola, i mafiosi che hanno rubato la felicità di casa Atria”.
(Ibidem, cap. 7, pagg. 77 e 78)
“Ma da quel momento Rita perde la pace … La notte di mercoledì 20 Novembre 1991 Rita la passa in bianco … Alle 11,35 circa (di notte) ha sentito bussare alla porta … è sicura che volevano ucciderla…
Se ci hanno provato una volta, ci riproveranno ancora: Partanna è un campo minato per Rita … Nessuno se la sente di rischiare. Deve essere
fatto il possibile per tutelare la più giovane collaboratrice di giustizia italiana dalle minacce dei mafiosi di Partanna. E non c’è che un’unica strada: portarla via al più presto dal paese”
(Ibidem, cap. 11, pagg. 94,95,96,97 e 98)
“La partenza è troppo improvvisa, senza vestiti e senza niente. Rita non fa neppure in tempo a preparare i bagagli … A mettere Rita sull’aereo
sono i militari di Castelvetrano che l’accompagnano di corsa a Punta Raisi. Quando sbarca a Roma, la sera del 21 Novembre, una scorta l’accompagna a casa della cognata; dai finestrini della macchina blindata lei sbircia la grande metropoli illuminata e si sente in Paradiso. Che bella la casa della cognata, stanze larghe e tutte arredate, telefono e televisione, un bagno grande e luminoso …
Felice di essere sfuggita ai mafiosi di Partanna. Entusiasta dell’amicizia che la lega a quella cognata così piena di affetto … Euforiche quelle due siciliane alla conquista di Roma. Ascoltano la radio, entrano, escono, giocano al pallone con la piccola, due ore al giorno le passano in casa a fare ginnastica a suon di musica, insieme si ritrovano a correre sotto la pioggia ridendo e cantando che sembrano due pazze …”
(Ibidem, cap. 12, pagg. 105, 106 e 107)
(Poi Rita incontra l’amore):
“ … un gran bel ragazzo … capelli neri e occhi azzurri … Gabriele … meridionale arruolato nella marina militare, a Roma sta facendo il servizio di leva … Nel giro di un mese sono innamorati pazzi. Ogni pomeriggio, mano nella mano, fanno lunghe passeggiate a Villa Pamphila, la loro meta preferita … Quel ragazzo era simpaticissimo:
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(Intanto)
andava a trovarla ogni giorno, le portava fiori, dolciumi, pizze …
Ai primi di giugno (1992), senza preavviso, le due cognate si ritrovano di nuovo sole, Gabriele si imbarca per l’Albania …
Non che il fidanzato la trascuri: la chiama al telefono almeno due volte la settimana, passano delle ore a dirsi sempre le stesse cose, quanto si amano, quanto si mancano e chissà quando potranno rivedersi …”
(Ibidem, cap. 12, pagg. 111, 112 e 114)
“Borsellino non perdeva occasione per andarle a trovare: scortato come sempre, ormai notissimo in tutta Italia, il giudice non poteva certo recarsi a casa della collaboratrice, che viveva protetta da una falsa identità, senza rischiare di mettere in pericolo la sua sicurezza. E allora telefonava: si incontravano almeno una volta al mese negli uffici dell’alto Commissariato …
Ogni volta erano abbracci e baci, grandi risate, come in una riunione di famiglia … e quando Rita gli parlava, piangendo, della madre che non voleva capire la sua scelta di collaborare, lui la confortava: ma che ti frega, Rituzza, (le diceva) un giorno capirà, nel frattempo non sei sola, tu hai me. …Rita lo adorava quel giudice…
(Ibidem, cap 16, pagg. 145, 146) (E’ spiegabile, quindi, il fatto che)
La domenica che morì Borsellino, quel maledetto 19 luglio 1992, lei si rifiutò di guardare la televisione, era come stralunata. Andava ripetendo:
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“ora siamo fritti, ora non c’è più nessuno che ci protegge …”
(Ibidem, cap. 16, pag. 146)
(I giorni successivi si rivelano per Rita carichi di preoccupazioni che la fanno cadere nella depressione)
“Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì … l’ultima settimana vola in un soffio. Rita ha mille pensieri per la testa; che strano, da mesi andava chiedendo una casa tutta sua, e proprio adesso che è depressa l’Alto Commissariato l’ha chiamata per avvisarla che l’appartamento è pronto …
Non c’è bisogno di essere scienziati per capire che a Rita, poveraccia, quel 19 luglio a Palermo la mafia ha ammazzato il padre per la terza volta: prima don Vito, poi Nicola e ora pure Paolo Borsellino, l’unico che … aveva giurato di proteggerla con una voce amara come quella di padre e fratello …
Venerdì 24 luglio è giorno di trasloco … (la cognata) non è del tutto convinta: proprio ora che è successa questa brutta cosa, magari ti senti tutta sola, in una casa tutta tua, non è meglio che rimani ancora un poco ? … Ora la casa ce l’hai e non te la toglie nessuno, domani sera partiremo per la Sicilia (dove erano attese, a Marsala, dai giudici) e al nostro ritorno, tra qualche giorno, ti sistemi per bene a casa nuova …
(Ibidem, cap. 17, pagg. 149, 150)
(Ma Rita ha deciso di non partire)
“Quella stessa mattina ha telefonato all’Alto Commissariato per disdire la partenza, dicendo che non si sente troppo bene …
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Si salutano all’aeroporto, la macchina dell’Alto Commissariato è venuta sotto casa a prelevarle puntuale come un cronometro, le guardie del corpo stanno aspettando Rita per riportarla indietro al quartiere Tuscolano (in via Amelia).
Si baciano, si abbracciano … Non si rivedranno più.
Nessuno può sapere cosa passa per la testa di Rita quella domenica 26 luglio, ad una settimana esatta dalla morte del “suo” giudice, più o meno alla stessa ora, più o meno le quattro (del pomeriggio, n.d.r.) quando decide di lanciarsi nel vuoto del settimo piano. Nessuno sa come ha trascorso la notte tra sabato e domenica, la prima e unica notte passata da sola nella sua nuova casa di via Amelia …”.)
(Ibidem, cap. 17, pagg. 153 e 155)
(Ma, forse)
“Non dovevano lasciarla sola. Non dovevano permettere che Rita Atria, un’adolescente di soli diciassette anni, fortemente provata dalla morte del giudice Paolo Borsellino, trascorresse un week-end in completo isolamento … proprio nei giorni immediatamente successivi alla strage di via D’Amelio.
Non sapevano … che Piera Aiello era partita per la Sicilia? … Come mai non hanno valutato che il suo stato depressivo potesse spingerla ad un gesto disperato?…
Sembra che dopo la tragica scomparsa di Borsellino, l’unica preoccupazione dei superpoliziotti antimafia\fosse quella di impedire a pentiti e collaboratori la ritrattazione per paura …”.
(Ibidem, cap. 19, pag. 167)
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(In quell’assolato pomeriggio estivo, nessuno si trova in quella via, nessuno è presente alla scena o, forse, nessuno vuol farsi trovare sulla scena?)
“Chi ha visto precipitare Rita Atria? … Raccontano le cronache che solo un’inquilina del palazzo, dal secondo piano, ha visto un corpo schiantarsi sul selciato e si è precipitata in strada.
La donna, che non ha voluto rivelare il proprio nome, ha raccontato ad un cronista de “La Repubblica” gli ultimi istanti di vita di Rita:
“ … L’ho vista riversa sul marciapiede, con un braccio tumefatto … Quando sono corsa da lei era ancora viva, rantolava, si lamentava e non riusciva a parlare …”
Il sopralluogo della polizia non aiuta: non c’è traccia del travaglio che deve aver preceduto il suicidio …
Sul comodino è rimasto un biglietto con tre righe scritte a penna: “Adesso non c’è più chi mi protegge, sono avvilita, non ce la faccio più …”.
S’è davvero uccisa Rita Atria?
(Ibidem, cap. 20, pagg. 173,174)
(Com’è naturale, vengono avviate le indagini)
Il caso “Rita Atria” finisce negli uffici giudiziari della Procura di Roma, competente per territorio, che apre un rituale fascicolo di atti relativi. La prima mossa del sostituto, titolare dell’inchiesta, è quella di richiedere immediatamente una relazione medico-legale che possa fornire informazioni utili sulle cause della morte. Un atto che gli viene consegnato l’indomani, lunedì 27 luglio … Ecco il testo del documento:
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“1) Morte clinica alle ore 17,55 del 26 luglio 1992
2) La causa della morte può essere attribuita ad un gravissimo e irreversibile shock conseguente alle lesioni encefalitiche e toracico-addominali riportate, le quali ben si adattano … ad una dinamica da grande traumatismo, quale nella specie una precipitazione, condotta con ogni probabile verosimiglianza – anche per l’assenza di quadri lesivi tali da far ipotizzare l’azione violenta di altre persone nei suoi confronti – a scopo autosoppressivo”.
Per il consulente si tratta verosimilmente di un suicidio: nessuna lesione, nessun segno sul corpo di Rita lascia pensare che qualcuno possa averla costretta o spinta a lanciarsi dal settimo piano.
Resta, dal punto di vista clinico, un solo dubbio da sciogliere: quella scatola di Tavor … ritrovata … completamente vuota nell’appartamento di via Amelia … Ma una cosa è certa: Rita non ha mandato giù nemmeno una pasticca. Lo sostiene con assoluta certezza … la relazione di consulenza chimico-tossicologica effettuata sulla salma di Rita …
Eccone il testo:
“Tutti gli esami eseguiti non hanno mostrato la presenza di sostanze esogene in grado di alterare le condizioni psico-fisiche del soggetto … In particolare sono risultate negative le ricerche di metabolici degli oppiacei, della cocaina, dei cannabinoidi. Non si è riscontrata traccia di assunzione di barbiturici, anfetaminici, benzodiazepine, fenotiazine, imipramina, salicilici. La segnalazione in atti di rinvenimento del prodotto commerciale Tavor non trova riscontro di assunzione”.
(Ibidem, cap. 20, pagg. 174, 175 e 176)
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Cap. IV
I FUNERALI
La scelta di destinare un intero capitolo alla narrazione dei fatti relativi ai funerali di Rita Atria non è stata presa senza una qualche titubanza.
La collocazione di un argomento nel contesto spaziale di un volume, infatti, è dettato anche dalla sua minore o maggiore importanza nell’economia del discorso.
La titubanza cui facevo riferimento, pertanto, nasceva dalla consapevolezza che nelle vicende umane di Rita i suoi funerali non possono che essere considerati marginali. Ciò che vale nella vita di una persona sono i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue azioni. Poco o niente incidono sulla personalità di una persona, sulla sua dignità, sul suo valore, sulla sua immagine, le forme rituali rivolte alla sua salma. Insomma, la grandezza o la pochezza della persona non discende dal tipo di rito funebre riservatole; che, se mai si volesse per forza trovare un nesso tra i due elementi, dovrebbe valere anzi il rapporto inverso.
E tuttavia, nel caso nostro non possiamo fare a meno di dare un rilievo particolare a quel rito funebre, non possiamo fare a meno di dare uno spazio speciale ai fatti svoltisi in quella mezza giornata del 31 luglio 1992.
In quelle poche ore, infatti, si sarebbe “consumato il misfatto” che ha poi dato la stura a quel “sospetto” di cui abbiamo parlato nel capitolo I. Almeno così pare.
Ripercorriamo quei momenti nel racconto che ne fa la stessa Sandra Rizza nel suo volume “Una ragazza contro la mafia” già abbondantemente utilizzato.
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“Il carro funebre ha viaggiato tutta la notte, quindici ore di strada da Roma a Partanna; quando è arrivato alle porte del paese non era ancora l’alba. L’autista ha chiesto ad un benzinaio dov’era il cimitero, poi il carro funebre è sparito dietro i filari di cipressi … e ha tirato i freni davanti al cancello nero del camposanto …
Duecento persone fanno avanti e indietro sotto il sole che incendia i rami e le foglie, che brucia la terra rossa della vallata. Una trentina sono i giornalisti e reporter, catapultati a Partanna da mezzo mondo. Non ci sono le autorità, non c’è neppure lo Stato ai funerali di Rita Atria. Pochi i politici … il sindaco …
Ed ecco la bara … Ecco anche il prete, don Calogero Russo, il parroco della Chiesa Matrice. Il corteo avanza lentissimo fino alla cappella più lontana.
Un foglio passa di mano in mano, il documento dei magistrati di Trapani, Marsala e Sciacca, i giudici che avevano ascoltato Rita Atria prima della sua partenza per Roma: “la tristissima morte di Rita, scrivono, ha riempito di sconforto l’anima di noi giudici già avviliti per l’irreparabile perdita di Paolo Borsellino … Confidiamo che l’esempio di Rita sia recepito da molte altre persone che ancora si trovano avvolte nel giogo del silenzio”.
Nell’afa del pomeriggio comincia il rito funebre, funerali privati, fuori dalle mura della chiesa Madre di Partanna, entro il perimetro del cimitero. Il prete celebra messa con le lacrime agli occhi …”
(Sandra Rizza: Una ragazza contro la mafia, Ed. La Luna, Palermo, 1993,
– cap. 18, pagg. 161,162 e 163 -)
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Ecco la cronaca di quella mezza giornata: scarna, scheletrica, ridotta all’essenziale. Di proposito ho espunto dal testo ogni elemento non riproducibile da una cinepresa o da una semplice macchina fotografica: ho proposto solo ciò che risultava riproducibile. Duecento persone in carne ed ossa, una trentina di giornalisti, una bara, un sindaco, il messaggio dei magistrati di Trapani, Marsala e Sciacca, un prete che celebra la messa entro il perimetro di un cimitero. Fatti, non opinioni!
Come si può spiegare, allora, la nascita di quel “sospetto” di cui ci stiamo occupando?
Evidentemente, come “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, allo stesso modo “non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere”.
A meno che il motivo non risieda altrove.
Tento una qualche ipotesi:
- – il delatore non si trovava presente quel giorno in quel luogo;
- – il delatore non sa distinguere una Messa da un comizio politico;
- – il delatore s’era talmente innamorato del suo “progetto onirico” (un desiderio più che una preoccupazione) che prevedeva un “rifiuto” o quanto meno una “distrazione” del mondo ecclesiale e politico, da rifiutare successivamente la stessa evidenza che provocava il crollo dei suoi sogni (roba da psicanalisi !) Tutte e tre le ipotesi, comunque, conducono ad un’unica conclusione: la sceneggiata dello “stracciarsi le vesti” da parte di alcuni professionisti dell’antimafia di ogni latitudine era stata orchestrata a tavolino nei giorni compresi tra la domenica, 26 luglio, ed il giovedì, 30 luglio del 1992. E a nulla sono valsi i fatti che andavano in direzione opposta alle loro speranze. Una volta avviata, la macchina della diffamazione non ha potuto subire inversione alcuna, ha continuato per la sua strada, anche col rischio di cadere nel ridicolo.
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Ma tant’è! Certamente l’autore (o gli autori) della macchinazione hanno confidato nel potere affabulatorio dei mass media su cui potevano contare; e non avevano tutti i torti se fino ad oggi hanno potuto sostenere e vedere trionfare una tesi fondata sulla menzogna.