SOCIOLOGIA DI UN PAESE perinde ac cadaver

di Vito Piazza Le spaziose vallate dolcemente salienti dalla riva destra del fiume Hypsa, ora detto Belice, e dalla sinistra del Selinus, or detto Modione, convergono quasi ad uguale distanza a formare un ampio ed aprico pianoro. Naturale e amena terrazza, ove termina la centrale delle tre catene, va via via allargandosi verso tramontana e raggiunge 540 metri in contrada Montagna detta “Punta d’Amari”. A mezzogiorno il sottostante declivio, appena sensibile che par quasi pianura, digrada fino alla costa vicina, compresa tra le due foci. Il pianoro s’arresta invece elevato, panoramico: quasi ritroso di bagnarsi, come l’Erice e il Cronio vicini, nell’onda invernale fluttuosa, ma pur vago d’affacciarsi sulla distesa glauca del Mare Nostrum…Così il nostro storico Varvaro Bruno, mai abbastanza valorizzato. E in questo i partannesi sono coerenti dato che non hanno memoria e sono concentrati sul carpe diem e su se stessi, attenti come sono al proprio utile, al fare bella figura, ad apparire modesti. Già, perché qui si tende ad apparire modesti, confondendo l’umiltà che è un valore dell’essere con la modestia che è un disvalore dell’AVERE. Basta non parlare di sé come se la comunità partannese fosse fatta di sbirri che ti avvertono che tutto ciò che dici possa essere usato CONTRO di te. La megghiu parola è chidda chi un si dici. Già: cui prodest? Mai sentito parlare di OMERTA’? Di contro coi fatti si mostra la vanagloria, tacita e taciuta. La vanagloria rappresenta un tipo di superbia fatta di averi (case, macchine, attività commerciali, terre ecc.) che risale al concetto etico di ROBA. Per cui se parli di ciò che HAI, sei modesto, se parli di ciò che sei, ti VANTI.
E allora chi non vuole essere giudicato e vivere senza essere PRE-giudicato, preferisce vivere in isolamento se vuole vivere in pace, lontano da un mondo che premia solo la furbizia e teme l’intelligenza. Per i partannesi, uomini di pianura, la Montagna è un errore. E allora meglio vivere in Montagna, nell’errore. Qui fine, finissima è l’aria, un toccasana per i polmoni e per il cuore, qui si poteva guarire dalla tbc, quel male per cui si evitava il malato che si diceva fosse consunto, consumato e infetto, da evitare, appunto.
Un tempo fu anche un antidoto contro la miseria. Tra fine agosto e per tutto il mese di settembre venivano i ficarara, quelle piccole comunità che comprendevano oltre un centinaio di famiglie tra le più povere del paese, appartenenti per lo più al bracciantato agricolo e solo in piccola parte all’artigianato più povero. Si dividevano a loro volta in tre categorie: i proprietari di un piccolo appezzamento di terreno; quelli che ottenevano di poter seccare i fichi in un fondo con l’impegno di cedere al padrone la metà del prodotto; quelli infine che prendevano in affitto per la stagione un certo numero di alberi di fico. Queste due ultime categorie avevano il diritto di stabilirsi con le famiglie sul fondo per tutto il periodo della fioritura. Il fieno è conservato, il frumento, l’orzo, l’avena e le fave nei graticci di canne, il raccolto del sommacco, delle carrubbe e delle mandorle è finito, si avvicina la fiera di ferragosto. Per i lavori campestri ci sarà una lunga stasi, fino al raccolto delle olive in autunno. Dopo la fiera della Madonna Assunta comincia l’esodo dei ficarara dal paese; costruiscono i pagliai, i seccatoi e le cannare (i graticci di canne) per seccarvi i fichi e per circa un mese e mezzo prendono dimora stabile prevalentemente nella contrada Montagna. Questa povera gente trae molti vantaggi dalla permanenza in campagna, risparmia infatti abiti e scarpe ed economizza sugli alimenti in quanto i fichi freschi costituiscono il nutrimento principale insieme alle lumachine che chiamano babbaluceddi.
A Partanna è proibito essere ambiziosi, puntare in alto, è presunzione. E se qualcuno ha fatto qualcosa di notevole ma in Continente, bisogna ignorarlo. Qui l’approvazione sociale ha origine nei proverbi, unica fonte di cultura che resiste ad ogni futuro, ad ogni novità. Che i proverbi qui siano più brillanti e vitali che altrove è un fatto innegabile vuoi perché la Sicilia ne ha il primato numerico (Il Pitrè ne contò tredicimila a fronte di tutte le altre regioni che messe insieme ne contano, novemilacinquecento), vuoi per la caratteristica di questa terra che li ha generati e che li esprimono in frasi più animate, più brillanti che quelli delle altre popolazioni, essendo la Sicilia la terra dove miti sono i costumi, prossimo il cielo, balsamica ed olezzante l’aura che si respira, caldi gli affetti, svelti gli spiriti, accesi in quel foco, di che fiammeggiano i nostri vulcani. Partanna, da sola, è una delle mille Sicilie, ciascuna delle quali è esclusiva, isola tra isole. Qui i proverbi di cui autorità epistemiche, quelle autorità riconosciute senza merito alcuno come sapienziali, colte, esperte e capaci di diffondere il proprio pensiero unico come unico pensiero, hanno sempre dominato non solo sulle comunità, ma sulla vita privata di ciascuno.
Lu mottu anticu mai fallì.
E se pure proverbi e vita quotidiana si contraddicono (si pensi al Cu è fissa si nni sta a la casa, che contraddice al Cu è fissa si godi lu munnu, o al Cu ha saluti e libertà, è riccu e un nni lu sa, contrapposto al Sanità senza dinari è menza malatia, o all’esistenziale Cu nun po’ stari a lu paisi, un po’ stari a nudda banna viene contraddetto da cu muta locu, muta vintura), questa contradditorietà viene inglobata come necessaria, assunta, assimilata, in una terra che vive ancora di miti, di metafore, di paradossi e dove gli opposti si sono sempre abbracciati.
Per i partannesi la terra è piatta. Sono sempre e da sempre vittime compiacenti delle autorità che ora usano le parole come pietre. La competenza se dichiarata è la vera vanagloria. Qui per essere umile devi continuare a dichiarare che non sai niente, che non fai sogni o hai aspirazioni che vanno oltre la classe di appartenenza. Nessuno ama di diventare migliore. I valori dell’ESSERE (essere generosi, preoccuparsi degli altri, essere riconoscenti ecc.). non hanno valore. La mediocrità va seguita perinde ac cadaver. E non importa se succedono vere disgrazie: i partannesi commenteranno sempre con una battuta di spirito (nunquam est tam male Siculis, qui aliquis facete et commode dicant – Qualunque cosa possa accadere ai Siciliani, essi lo commenteranno con una battuta di spirito). Sembra naturale non mancare di finire sempre con una battuta, un calembour, un motto di spirito, un proverbio che fa ridere. E se la reputazione è la sintesi di pettegolezzi, si avrà un’idea seppur vaga di come i partannesi abbiano preso atteggiamenti e comportamenti in grado di salvarli da una cattiva reputazione. Fare bella figura, dare di sé una buona impressione, ma soprattutto non dare motivo di essere sparlati è da sempre la filosofia di vita di ogni “buon” partannese. Qui vive la conformità. Qui il curriculo è presunzione e la presunzione è curriculo.
Fatti la fama e curcati. Fatti una reputazione e non la cambierai mai.
Cu cancia la via vecchia per la nuova, sa cosa lascia, ma non sa cosa trova.
Le strade e le aspettative di Partanna non ti portano da nessuna parte. Eppure doveva esserci un altrove in cui le idee, la tolleranza, la libertà, forse la fraternità, dovevano pur esistere. Ma solo i più coraggiosi e i più disperati avevano il coraggio di praticare quel detto che invita ad allontanarsi “Cu nesci arrinesci”. Almeno fino al terremoto del ’68 dove case di terra e sassi, ignare del terremoto che di lì a poco le avrebbe sconquassate, vegetavano quiete e tranquille sotto la luna. L’unico e serio storico del paese Varvaro Bruno si sforzò di descriverla amena: questo è il territorio dove, al profumo della zagara e dei fiori, fra il verde d’irrigui aranci ed orti, ricca di aranci, oliveti, mandorleti, vigne si culla Partanna in provincia di Trapani, estremo lembo della Sicilia e dell’Italia bella. Aveva ragione, forse, ma non fu certamente profetico.
Partanna ha perso ogni interesse per le idee. Qui tutto è destino. E quindi tutto è prevedibile, non esiste la sorpresa, l’imprevedibile, il nuovo. Partanna ama le feste ma è rimasta senza sogni. E i pochi che hanno vissuto altrove non si trovano più. E’ un paese di vecchi. E un uomo è vecchio quando i rimpianti in lui superano i sogni. Così diceva quel vanaglorioso di Einstein.
Vito Piazza


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