MALATTIA E INIEZIONI di…

di Vito Piazza. Gli abitanti di questo paese vivono nel migliore dei mondi possibili. O almeno così credono perché il villano è come si persuade: ha una unica convinzione, un’idea rigida e testarda sul mondo, sulle cose e sugli uomini. Vive come Pangloss del Candido di Voltaire e la persuasione di fondo non supera i confini del cielo e della terra di questa nostra Partanna. Qui vige la monotonia, il lasciarsi vivere, la noia, anzi l’annoiu. Non esistono eventi, solo accadimenti che non comportino mutamenti, novità, sorprese. Qui quando si alza il sipario, la tragedia è già conclusa. Vige quel consenso sociale che fa sì che la visione della realtà sia comune per tutti e unica per il mondo intero. Non si passeggia, ci si “annaca” movendosi come se si fosse cullati, e fermandosi spesso a seconda dei ragionamenti. Tutti vivono di’annoiu e nell’annoiu, che è un misto dal non fare un cazzo e il male di vivere: ’annoiu qui non è solo uno stato psicologico di demotivazione, temporanea o duratura, non è ozio, o l’essere impegnato in attività lagnose o ripetitive, qui l’ annoiu è l’acedia, l’accidia del medioevo, quello stato di grazia o condanna contemplativa che nasce e vive paradossalmente in uno stato di soddisfazione, non certo di bisogno. Qui la voluntas è da sempre noluntas. Qui invano cercheresti la speranza. Qui “l’annoiu” ha un significato attivo: il partannese non si annoia, viene annoiato. “M’annoia” è esistenziale, più che indifferenza o riluttanza al fare, è svuotamento dell’essere: si vive pestando l’acqua in un mortaio. Ma c’è un altro significato di ”annoiu” ed è quello di essere contagiati da una malattia non grave ma fastidiosa, a volte appiccicosa: l’influenza di questo periodo è la regina. Se prendi l’influenza è quasi una goduria, se la prendi non solo puoi comunicarla agli amici e ai parenti, ma puoi enfatizzarla. Ma anche l’influenza impone le sue regole. – Ma comu mai si accussì accarcaciddato? (sembri un uccello senza voce) – Mi piscau l’influenza. – Ci isti nni lu dutturi? – Ci ivi. – E chi t’insegnau? – Pinnuli (pillole).- E a questo punto che ogni partannese diventa primario di malattie virali: – Ssu dutturi è scompatente. Li pinnuli su acqua frisca. Ci vonni li gnizioni -. E se un medico non prescrive iniezioni, non è un bravo medico. Non importa cosa contengano. L’importante è che siano iniezioni. Le iniezioni sono un bene a prescindere, avrebbe detto Totò. Ma se davvero hai l’influenza, non puoi fartela durare a lungo. Altrimenti sei fregato. I parenti e gli amici non ti lasceranno in pace. L’influenza socialmente accettata può durare al massimo tre o quattro giorni, perciò non puoi dire che stai male dopo i giorni canonici la cui prognosi qui è tolta al medico e stabilita dai paesani. La prima sera puoi dire che stai male, ma già alla seconda sera non puoi ripetere che stai male come il giorno prima, specie se hai fatto le iniezioni. La seconda sera alla richiesta di notizie sulla tua salute: E stasira comu ti senti? Devi rispondere “migghiuliddu” (un po’ meglio), altrimenti diventi un caso strano, un caso clinico, preoccupante. Perciò molti partannesi – trascorsi i giorni di malattia prescritti socialmente accettabili e non essendo guariti – escono lo stesso di casa solo per farsi vedere, per dire che è tutto passato come per gli altri. La diversità è pericolosa e una volta sul palcoscenico dove vivono tutti, diventi una bomba piena di microbi e virus che annienterebbero un toro. E così, fra un contagio e l’altro, da una influenza ad una ricaduta, l’influenza in questo paese ha durata indefinita.
Chissà come moriva la gente prima dell’invenzione di tante malattie. Molti devono la vita alle medicine. Per esempio, i farmacisti che qui sono gli unici ad essere chiusi non solo la domenica, ma anche il sabato. La natura qui fornisce malattie piuttosto brevi, la medicina ha inventato l’arte di prolungarle. Un tempo un paesano detto l’affumatu forse perché gran parte del tempo lo passava nella sede della Democrazia Cristiana dove il fumo era talmente denso che a stento si vedevano le carte da gioco, era il tormentone dei medici: ci andava ogni giorno perché era annuiatu ora di questa, ora di quella malattia e andava ora da questo ora da altro medico. L’ultimo dottore aveva più pazienza di altri, e come vuole la regola, si mise a lagnarsi con lui più volte che con i precedenti, perché qui in genere chi fa bene se non viene ricompensato a male che è la regola, fa arrivare a un punto di non-ritorno.
Duttu! Ma chi haiu? – E il medico ormai aveva capito che una diagnosi protocollare e semplice non avrebbe soddisfatto del tutto il paziente che sebbene abbastanza educato era privo di quella che i sacri testi definiscono la virtù dei forti: la pazienza. Aveva sempre gli stessi mali rinvenibili nell’Enciclopedia medica e nei testi del IV anno di medicina. In pratica tutti i mali dell’Universo con qualche puntatina oltre la Galassia. Ma a furia di visite anche il medico perse la pazienza. E stavolta fu costretto a usare uno stratagemma. Il medico sapeva che tutti i partannesi sono influenzati dalle parole per loro difficili: tutti possono dire mal di testa: il medico dovrà dire emicrania. Una emicrania sembrerà sempre qualche cosa più grave di un “mezzo dolore di capo”.
Un ti preoccupari. Stavolta ti mando da un mio amico specialista. Ma si trova a Palermo. – E comu ci vaiu? – Cu la lapa. Adaciu adaciu. – Il medico scrisse la ricetta con lettera di presentazione. “Caro amico, ti invio un paziente affetto da ORCHICLASTIA. Trattalo adeguatamente”. La lapa si fermò più volte. L’ultima per mancanza di benzina che viandanti generosi gli fornirono. Finalmente il medico lesse: ORCHICLASTIA. Il medico capì subito: Orchiclasta (“rompicojoni”). In greco antico “ορχεις” significa “testicolo” mentre la forma “κλαω” significa “io rompo”. Fra gli orchiclasti vengono annoverati tutti coloro che in un modo o nell’altro sono maestri nell’arte di “rompere i coglioni”. L’affumatu non sapeva, anche per questo il nome gli piaceva. Il medico non disse nulla all’inizio facendo finta di pensare a quale fosse la migliore cura, poi guardò il paziente (si fa per dire) parlando in gergo, scrisse tante di quelle medicine da riempire 4 o 5 ricette. Alzò lo sguardo: “Queste dovrebbero bastare”, disse. – Ma è sicuro che siano sufficienti? -. – Sicuro. Però te ne aggiungo altre. – Del resto qui chi va dal dottore oltre che diagnosi e cura vuole essere riempito di medicine perché forte del primato di 104/92 al suo paese la quantità è qualità, oltre al fatto di poter raccontare quanto fosse stato furbo. Del resto a Partanna erano i pazienti a prescrivere al medico le medicine che poi avrebbero preso. Questa volta l’affumatu era quasi soddisfatto. – Grazie, lu signuri ci lu paha.- – Non si faccia vivo per almeno sei, sette mesi -. L’affumato per la prima volta se ne uscì dallo studio medico soddisfatto e si apprestò a ritornare. Ma Palermo non è Partanna. Bisognava chiedere. Vide un vigile che gesticolava dall’alto dell’ultima pedana rimasta in Europa. Non ebbe modo di abbassare il finestrino, la lapa ne era priva. Esclamò in un soffio: “Scusi, io dovrei andare a Partanna!” – E il vigile immantinente: – E picchì un ci va? –
Il ritorno fu peggio dell’andata, un carretto tirato da un asino ci avrebbe messo meno tempo. Solo che a causa di quelle medicine, una volta guarito, il paziente è stato male per un anno intero. La malattia è il lato dionisiaco, notturno della vita, l’influenza è solo un’ombra passeggera, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscere nell’ambiente in cui vive che la società fornisce all’individuo il modo di vedere il mondo. Ai partannesi piace anche la convalescenza: è la cosa per cui vale la pena ammalarsi e non certo per godere delle feste preparate per il ritorno. L’uomo passa la prima metà della vita a rovinarsi la salute e la seconda metà a guarirsi. E poi i malati sono sempre degli ottimisti. Forse l’ottimismo è anch’esso una malattia. La convalescenza di l’affumato lo costrinse all’isolamento, a chiedersi significati, a non annoiarsi. E a chi veniva a trovarlo chiedeva domande esistenziali, filosofiche, inquietanti: ma nel momento in cui ci si chiede il significato ed il valore della vita, si è malati. – Cretinu. Moriri ppi nna ‘nfluenza. Ci lu dissi chi ci vulianu sulu gnizioni! – Partanna non ragiona. Giudica. Qui lo stigma è di casa.
Vito Piazza


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