“A facci ‘n culu di notti” e la civilta’ contadina

Nella civiltà contadina, spesso da me citata, regnava il maschilismo. La donna non aveva diritti, ma solo doveri da compiere.

I contadini non abitavano in campagna: per motivi di sicurezza le abitazioni erano raggruppate nelle periferie delle città e nei villaggi. La donna restava in casa per dedicarsi ai lavori domestici, come rattoppare e rammendare indumenti, filare il lino, la lana, il cotone; spesso con un rozzo telaio le donne tessevano la tela, la imbiancavano, la tagliavano e confezionavano camicie e mutande per i bisogni della famiglia. Inoltre, con i “firritti o busi” realizzavano maglioni, sciarpe e coperte; badavano al maiale, alle galline, ai bambini e all’amministrazione del poco denaro che portava in casa il marito col suo lavoro. Durante la giornata cantavano sempre allegramente canti siciliani scomparsi.

Al tempo della raccolta delle messi le donne aiutavano gli uomini a raccogliere i covoni, a spigolare, a raccogliere le olive, le mandorle, a vendemmiare. Nelle abitazioni dei contadini, anguste e costituite spesso da una sola stanza, coabitavano anche il maiale, l’asino e le galline; molti di detti lavori, ma anche quelli secondari dell’agricoltura, come “la ‘ntrita” (schiacciare e selezionare le mandorle), “assiddiiri” (pulire e selezionare il frumento per la semina e per l’alimentazione), venivano eseguiti fuori, per strada o nei cortili.

Durante l’estate per sfuggire all’arsura stagnante delle loro disagevoli abitazioni, si sedevano fuori, all’ombra, davanti la porta di casa, per godersi un poco di fresco. Nello stesso tempo eseguivano i lavori già detti. Le vicine di casa facevano lo stesso e così, per passare il tempo intrecciavano lunghe conversazioni, che si concludevano spesso con “lu sparliu” (parlare male delle persone). Siccome le donne non dovevano guardare per strada, perché qualche passante uomo, poteva guardarle e pensare male, esse si sedevano con le spalle rivolte verso la strada.

Questo strano modo di sedersi allora era chiamato scherzosamente “a facci ‘n culu di notti”. Per noi era normalissimo incontrare di queste scenette, ma quando gli alleati sbarcarono in Sicilia restarono meravigliati nel trovare una popolazione così “strana”.

Giuseppe Casarubea nel suo libro “Storia segreta di Sicilia” nel descrivere lo sbarco degli alleati in Sicilia riporta le considerazioni del tenente generale George Patton, della Settima Armata Americana: “cucinavano per strada e usavano i bidoni delle truppe come utensili da cucina. Si sedevano per strada e cantavano a tutte le ore del giorno e della notte. Poiché sono grandi mangiatori d’aglio, che viene venduto da vecchi recanti serti d’aglio sulle spalle, il loro canto all’aperto affligge non solo l’udito ma anche l’odorato”.

di Vito Marino


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