“Adeguamenti liturgici” nelle chiese di Castelvetrano

CASTELVETRANO – “Si assiste in queste settimane a Castelvetrano alla attuazione di un progetto che ha suscitato molte perplessità e che riguarda due delle chiese più belle della città: la Chiesa Madre e la Chiesa di San Domenico.

Certamente si può definire un intervento rimarchevole e da attenzionare quello che ha portato nella Chiesa Madre all’asportazione del baldacchino risalente alla riforma della liturgia eucaristica stabilita dal Concilio Vaticano II e del bel pulpito ligneo, di cui peraltro non ci è dato sapere la nuova allocazione .

Il tutto per far posto ad un monumento di fredda pietra marmorea, dallo stile indubbiamente difforme al contesto in cui è stato collocato.

Il contesto monumentale di immenso pregio storico-artistico della chiesa di San Domenico rende ancor più evidente l’altro intervento.

Infatti, in quella che è un bene dello Stato dall’incalcolabile valore artistico-monumentale, ceduto in comodato gratuito alla Chiesa, si sta intervenendo con uno stravolgimento dell’assetto interno all’abside con la collocazione su una piattaforma di cemento di almeno 16 metri quadrati di un cubo di pietra marmorea di colore bianco dalle dimensioni di circa 1,5 metri di altezza per altrettanto di larghezza e profondità.

Si tratta di un intervento, a nostro avviso, invasivo per il quale ci si chiede se sia stata preventivamente richiesta autorizzazione alla Soprintendenza Regionale ai Beni Culturali di Trapani ed alle altre istituzioni pubbliche responsabili.

A tutti questi si chiede un intervento immediato di verifica e controllo delle iniziative attuate.

Infatti la Chiesa di San Domenico è stata solo da qualche anno restituita alla comunità dopo un lungo restauro che ha visto grandi investimenti pubblici ed è stata definita la “Cappella Sistina di Sicilia”.

Ci si chiede se qualcuno controlla che gli enti cui è stata affidata stanno effettivamente operando per la sua valorizzazione e conservazione.

La segnalazione di questi interventi da parte di illustri studiosi, qualificati tecnici, semplici cittadini e turisti evidenzia il profondo disappunto che siffatti interventi inopportuni e, probabilmente non necessari, hanno suscitato e per il quale si invocano le autorità competenti ad intervenire comunicando, tra l’altro, dove sono stati collocati l’ambone della Chiesa madre e gli altri oggetti asportati.

E’ stato detto a giustificazione che si tratta di adeguamenti conseguenti alla Riforma liturgica. Ma al rinnovo dell’icona della Chiesa cui provvede l’azione liturgica, l’adeguamento delle chiese deve coordinare un sapiente dialogo con le architetture esistenti, per cui, già nel 1974, le Norme per la tutela e la conservazione del patrimonio storico-artistico della Chiesa in Italia suggerivano di tenere i documenti canonici in una mano e la Carta del Restauro (1972) nell’altra. A stornare private interpretazioni sulla liturgia e il ruolo dei luoghi liturgici è poi intervenuta nel 1996 la nota pastorale L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica emanata dalla Commissione episcopale per la liturgia della CEI.

Trattasi di un argomento molto delicato per il quale sarebbe auspicabile l’apertura di un dialogo per ogni intervento richiesto. In questo caso tali interventi certamente invasivi rispetto alla architettura ed alla fragilità del contesto, per il quale è sempre opportuno una concertazione con le autorità competenti nell’interesse della conservazione di beni così preziosi e di pregio, non sono stati condivisi con la comunità locale. E’ ormai assodato infatti (citiamo per tutti la Convenzione di Faro del 2005 sul valore del Patrimonio culturale per la Società) che il Patrimonio culturale, in particolare quello monumentale ed Artistico, è un bene comune in cui sono racchiuse storia e cultura, in sintesi la nostra identità, e chi lo gestisce è solo un custode e non è certamente il proprietario.

E’ necessario che la funzione religiosa dell’immobile storico di grande pregio tenga conto di tale valore comune ed, in particolare per la Chiesa di San Domenico che per il suo grande valore culturale ed artistico è da considerarsi unica. Lo dimostra l’ingente investimento di fondi pubblici realizzato per il suo restauro post-terremoto ed il fatto che la proprietà sia sempre e comunque dello Stato.

Ma si chiede anche perché sono stati richiesti ai visitatori della Chiesa di San Domenico non residenti a Castelvetrano contributi in denaro volontari, ma obbligatori (con atteggiamento spesso poco accomodante), rilasciando una ricevuta su cui non è chiara la relativa tassazione pro quota.

Il Gruppo Archeologico Selinunte ed il Club Unesco Castelvetrano-Selinunte avvieranno nei prossimi giorni una campagna di sensibilizzazione ed una petizione popolare perché nella Chiesa di San Domenico sia garantita la libera fruizione, venga controllata dalle autorità competenti, venga adeguatamente gestita per la sua valorizzazione.

Inoltre verrà avviata una campagna di sensibilizzazione e segnalazione da parte della opinione pubblica dei tanti patrimoni della città di Castelvetrano abbandonati o mal gestiti, ad iniziare dalle tombe sicane di Piazza Umberto I”.

Gruppo Archeologico Selinunte           Club Unesco Castelvetrano-Selinunte

 

 

 

 


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