“Alivi……alivi….. Cu avi alivi mi l’accattu…..”. Il tempo scorre veloce travolgendo tutto quanto incontra nel suo disastroso cammino. Ma il ricordo no!! Resta impresso nella nostra mente finché le nostre forze ce lo permettono. Eravamo negli anni ’50, reduci da una dittatura che obbligava (forse a ragione) la coltivazione del grano; l’economia di Castelvetrano si reggeva ancora sull’agricoltura e sulla produzione di grano. In Sicilia, il granaio d’Italia, la coltivazione della vite e dell’ulivo iniziò timidamente agli inizi del 1800 come colture specializzate più redditizie. Dopo il 1860, con la vendita dei beni ecclesiastici e demaniali, la borghesia fece tanti acquisti di terreni che iniziò a coltivare a vigneto e uliveto. Negli anni ’50 la nostra stupenda oliva nocellara del Belice difficilmente possedeva i requisiti per essere conservata in salamoia come oliva da pasto; allora c’era poca richiesta, non c’era irrigazione e non si usavano insetticidi, di conseguenza il frutto si presentava generalmente piccolo, macchiato e bucato. Pertanto finiva quasi sempre alla molitura per l’estrazione dell’olio. Per evitare di pesare il prodotto, l’oliva si vendeva a decalitri, tanto si sapeva che 1 sarma = 18 dal. = Kg. 216 e 1 dal.=Kg.12. In quegli anni era normale vedere girare per le strade carretti con commercianti compratori che “abbanniavanu” cioè avvisavano a viva voce di voler comprare prodotti della campagna, come mandorle intere e sgusciate, noci, olive, “muria” (murga). “Doppu li morti” si incominciava la raccolta delle olive e per le strade passava il carretto con il compratore, che a viva voce annunciava il suo passaggio: “Alivi……alivi….. Cu avi alivi mi l’accattu”. Vito Marino
“Alivi…..alivi….Cu avi alivi mi l’accattu…”
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