Capece (Sappe) su agenti di polizia penitenziaria indagati: “I processi nelle aule di giustizia e non sui giornali”

TRAPANI – “Trovo ingiusto ed ingiustificato il clamore mediatico su episodi che sarebbero avvenuti all’interno della Casa circondariale di Trapani e sui quali sta indagando la magistratura: i processi si devono fare nelle aule di giustizia e non sui giornali”. È quanto dichiara il Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Donato Capece, commentando l’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari e della misura interdittiva della sospensione dell’esercizio del pubblico ufficio emessa dal G.I.P. del Tribunale di Trapani, su richiesta della Procura della Repubblica di Trapani, nei confronti di n. 25 poliziotti penitenziari in servizio presso la Casa Circondariale di Trapani, in quanto ritenuti gravemente indiziati a vario titolo ed in concorso dei reati di tortura, abuso di autorità contro detenuti, falso ideologico, calunnia, che sarebbero stati perpetrati nei confronti di persone detenute all’interno del carcere “Pietro Cerulli”. Esprime “sorpresa ed amarezza” e, spiega, “la presunzione di innocenza è uno dei capisaldi della nostra Carta costituzionale così come il carattere personale della responsabilità penale e quindi credo si debbano evitare illazioni e gogne mediatiche. Noi confidiamo nella Magistratura perché la Polizia penitenziaria, a Trapani come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere. L’impegno del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una “casa di vetro”, cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci “chiaro”, perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale – ma ancora sconosciuto – lavoro svolto quotidianamente – con professionalità, abnegazione e umanità – dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria”, prosegue. E sottolinea la necessità e l’importanza di riflettere sul ruolo della definizione ambigua del reato di tortura nelle accuse agli agenti della Polizia Penitenziaria e nell’adozione della custodia cautelare in carcere: “parecchi poliziotti penitenziari, negli ultimi anni, sono finiti in cella” con quella terribile accusa. Ma “sono finiti in cella sempre in custodia cautelare e mai a seguito di una condanna definitiva al carcere”.
Per il SAPPE, “accade spesso, purtroppo, che in casi di grande risonanza mediatica, gli opinion makers e parte della stampa non si limitano a raccontare i fatti, ma alimentano una vera e propria campagna contro la Polizia Penitenziaria. Anche se le accuse, per quanto gravi, sono ancora al vaglio della magistratura, ciò non impedisce a politici e media di evocare immagini di violenze sistemiche e abusi impuniti, puntando il dito contro gli agenti molto prima che i processi abbiano chiarito le loro responsabilità”, conclude Capece.


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