PALERMO – “Condividiamo l’esigenza di assicurare il recupero ambientale delle cave, ma il valore di 10 euro a metro quadro da prendere in considerazione per la quantificazione dell’intervento è così elevato da rendere estremamente difficile, quasi impossibile, ottenere una fideiussione. Se così rimarranno le cose, molti siti rischieranno la chiusura con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro”. Lo dicono in una nota congiunta il Consorzio della Pietra Lavica dell’Etna, il Consorzio siciliano cavatori (Consicav) e la Cna Sicilia, commentando la legge recentemente approvata dall’Assemblea regionale siciliana. “La legge – aggiungono – obbliga le attività in esercizio ad adeguarsi, entro un anno, alle nuove garanzie finanziarie richieste per il recupero ambientale di cava. Recupero al quale è già destinato il 50% del canone che gli esercenti versano ai Comuni. Perché allora duplicare questo costo?”.
“L’eccessiva onerosità gestionale delle cave autorizzate, che non ha eguali nel resto d’Italia, rischia di provocare il collasso del comparto lapideo – spiegano – visto che molti esercenti saranno costretti presto a chiudere le attività per l’impossibilità di contrarre garanzie finanziarie così tanto gravose, col rischio di assistere alla recrudescenza dell’abusivismo di cava, visto che le sanzioni previste dalla legge per le attività illegali, tutto sommato, sono meno severe degli obblighi finanziari applicati alle attività estrattive autorizzate”. “Con questa legge di riordino delle cave – concludono – si corre il rischio di compromettere la continuità aziendale di molti esercenti di cava e, nello stesso tempo, di provocare un tracollo dell’offerta delle materie prime che, inevitabilmente, andrebbe a pregiudicare la realizzazione delle infrastrutture pubbliche”.