Chi s’inferma è perduto. Ammalarsi secondo la cultura partannese

La frase che ci siamo sentiti dire spesso da coloro che ci amano e ci spronano ad andare avanti è sempre stata in negativo: CHI SI FERMA È PERDUTO. In realtà la frase più vera nella nostre zone dovrebbe essere scritta a caratteri cubitali: CHI SI INFERMA È PERDUTO. Vedo già i nostri valenti medici pronti con l’olio di ricino e i chirurghi con i loro bisturi affilati. I più bravi e dotati del senso dell’umorismo diranno che i loro pazienti non si sono mai lamentati. Altri malevoli commenteranno: e come facevano a lamentarsi? A li Scapuccini i morti tacciono. Non possono più parlare.  Niente testimoni nel rispetto della nostra più cara tradizione. Ma si tratta di malignità: i nostri concittadini sono quasi contenti di ammalarsi perché provano più piacere a curarsi che a guarire. Se non avessimo avuto Martoglio avremmo dovuto inventarlo: il medico (in realtà un “ciarlatano”) nel pubblicizzare il suo unguento miracoloso urlava al megafono di fronte ad una popolazione attonita.

“Con un pizzucu sulu del miu ‘guento,

fricàto nelle parti insofferenti,

sparisci ogni duluri in un momento:

E cito il fatto: che nel reggimento si ruppi il braccio un poviru sirgenti. E si po’ dire che ne fu contento.

Forse sarà esagerato, ma in nessun pianeta della Galassia esiste un popolo così esperto di medicina come quello della nostra zona. O sanno perché leggono e soprattutto vedono e bevono tanto Elisir di Mirabella o sanno per aver provato sulla propria pelle.  Ma qui non c’è posto per l’autoprescrizione. Questa è terra di amici e di amici degli amici. La cultura medica si snocciola a passeggio, nei circoli, nei bar. Chi ha avuto un infarto sa tutto sul cuore: viene considerato un esperto a cui rivolgersi per sapere quali medicine prendeva. A qualunque male il partannese ha un rimedio: il reflusso gastroesofageo? Minchiate. Basta prendere…e giù il nome di un farmaco la cui prescrizione viene contraddetta da un altro esperto: quel farmaco lì? Acqua fresca. Perché non prendi invece…

Data la generosità dei partannesi molti offrono le proprie medicine (sì ci sono i collezionisti!) con competenza, convinti che male non possono fare. Ma la cosa più importante è l’atteggiamento culturale contro la febbre. Invece di considerarla un sintomo, la considerano una malattia in sé.

La febbre nell’epidemiologia partannese è una malattia paragonabile solo a li “dulura”. Alzi la mano chi non soffre o non ha sofferto di dulura. Ma andiamo avanti.

Un tempo la malattia si teneva nascosta. Come i panni sporchi che si lavano in casa.

Oggi va dichiarata, enfatizzata, è diventato uno status symbol. Di più: elemento di competizione.

–   Cumpà come stai?

–   Male. Ho certi dolori alla cervicale…

–  E je chi avissi a diri? Cervicale, dulura, gambe molli…Tu si paradisu ‘mpettu a mia.

Vince chi può vantare i dolori più grandi. La malattia non si minimizza, la si esalta. E la carta più alta ce l’ha chi ha fatto il maggior numero di esami clinici anche se tutti negativi.

Ma c’è chi si ammala sul serio. E magari non conosce quelle regole che per dovere civico e per l’igiene mentale dei lettori, andiamo a dare.

Se ti ammali non comunicarlo a nessuno.

Perché c’è sempre un parente stretto o un amico caro che ha cuore non tanto TE come malato quanto la TUA malattia. La prima sera:

–   Cumpà come stai?

–   Ho la febbre alta.

–   Dal dottore sei andato?

–   Sì.

–   E chi ti insignau? (i dottori partannesi insegnano, non prescrivono)

–   Pillole.

–   Auguri cumpà. L’indomani sera:

–   Cumpà come stai?

E qui la raccomandazione: non rispondere che state come la sera prima, ma dite con voce il più possibile chiara traendola dall’inferno “addumatu”dei vostri bronchi:

– Migghiuliddu.

Nel vostro interesse. Se rispondete che state ancora male, il vostro interlocutore vi rimprovererà:

–   Un t’ha passato ancora? (e sono passate solo 24 ore. Ma questo è un indice di debolezza, la vostra)

–   No.

–   Pi forza. Pigghi pidduli.

–   E chi avissi a pigghiari?

–   ‘Nculo l’avissi a pigghiari. Ci vonno li gnizioni, li gnizioni, capisci?

Non importa cosa contengano le iniezioni. Il “vostro” medico è cretino perché non vi insegna le iniezioni. E voi siete cretini perché NON GLI IMPONETE di insegnarvele. Medici di tutto il mondo, unitevi! Da noi non avrete da perdere che le vostre compresse! Ma non diciamolo a quegli altri paesi: Partannesi, non fate il bucato! Bucatevi. (Gli altri paesi sono invidiosi, potrebbero pensare a ben altri buchi). Scusate finisco qui. Ho la febbre, ma sto “migghiuliddu”. Sì, le iniezioni naturalmente.  Si dispensa dalle visite. E dalle telefonate.


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