A nessuno piace fare il profeta di sventure. Nell’antichità chi portava una cattiva notizia veniva giustiziato, almeno così ci ha insegnato una scuola a volte becera e spesso mal documentata. E a nulla valgono i vari proverbi concilianti del tipo “ambasciator non porta pena” . Mi colloco qui. Non sono un profeta ma un essere – spero umano – che pensa: a volte col cuore, più spesso con la testa. Era chiaro a tutti che dopo il lockdown l’apertura – scambiata per ritrovata libertà – sarebbe stata vissuta come un “LIBERI TUTTI”. Così è stato. Ma ora chi ha lanciato la prima pietra, nasconde il sasso dietro la schiena che credo mai abbia avuto dritta. Dimenticano di essere stati negazionisti, dimentica qualcuno di aver tifato per Salvini e per quella donna strabuzzante d’occhi che è la Meloni. Hanno dimenticato l’estate selvaggia, le uscite senza mascherina, i vari ritrovi, la movida, la gara a fare schiticchiate senza alcuna preoccupazione. Abbiamo riso tutti alle parole di quella povera ignorante (doppiamente povera: povera e ignorante, una miscela esplosiva) che venivano riportate: “Un c’è coviddi”. Eppure si trattava – oggettivamente – di una criminale e i miei ricordi di aspirante dell’Azione Cattolica mi riportano a quell’IGNORANZA COLPEVOLE che era uno dei peccati più grandi. Ma il discorso sarebbe troppo lungo e c’è gente più autorevole dello scrivente che continua a parlarne non senza contraddizioni in quella che viene comunemente denominata “comunità scientifica”. Io parlo di ciò che ho imparato in 47 anni di scuola. Spero di averne titolo anche se di scuola non si sa mai abbastanza. Ad un certo punto ciò che era una sperimentazione o, se si preferisce, una innovazione si è parlato di didattica a distanza. E invece di considerarla una necessità, una conditio sine qua non, è diventata terreno di scontro tra nativi digitali e immigrati digitali. Premetto che sono un immigrato digitale dopo essere stato un immigrato nello spazio (a Milano). Ma non per questo non apprezzo le potenzialità e l’efficacia delle metodologie informatiche. Attribuisco la colpa dell’ignoranza a me stesso, alla mia età, alla mia poca voglia di uscire dal cartaceo per entrare nel virtuale che ti sfugge come sabbia tra le dita. Ma a scuola, più che altrove, si fa presto a creare un aut aut: o sei digitale o sei analogico. Alla logica dell’O… O…( tipicamente mediterranea se non occidentale) andrebbe sostituita la logica orientale dell’E.. E… Ma l’amore per lo scontro, per la guerra, fomentato da ds spesso incapaci e capaci di dare ragione all’ultimo che ha parlato, ha prevalso. E gli insegnanti (che continuerò a ripetere SONO MIGLIORI DELLA SCUOLA IN CUI ABITANO) ci sono cascati. Due fronti contrapposti: da una parte i fautori della DAD, dall’altra quelli che la scuola, se non fatta in presenza, non è scuola. I più “allittrati” citano Galimberti distorcendone il pensiero. Ma chi ha mai detto – o potrebbe RAGIONEVOLMENTE SOSTENERE – che la scuola in presenza è uguale a quella virtuale? Si sono spostati i termini della questione e la questione è la PANDEMIA. In tempi in cui si volevano riaprire le scuole, dissi che non se ne doveva parlare almeno per tutto il 2020, anno terribilis. Ma tant’è. La ministra labbra di fuoco non avendo niente di suo, doveva apparire. E tutti gli operatori della scuola ci sono cascati. Tutti pronti per lo scontro. La pandemia fu allontanata dal cuore e dal cervello. E a tutt’oggi la didattica a distanza è demonizzata. E lo scontro continua su QUESTIONI di lana caprina, quando il vero problema di cui dovremmo occuparci, si occupa, lui sì, di noi: digitali e analogici. Non si può negare che molti analogici soffrano della sindrome della Volpe e l’Uva. La dad è acerba. Ma ci sei arrivata? Né si può negare che i digitali abbiano una sorta di sindrome di superiorità, incapaci di SAPERE che per i bambini non esiste un piano della realtà distinto nettamente dal piano della fantasia. No, non ho nessun titolo, neanche quello di esperto. 47 anni di esperienza? Scriveva Oscar Wilde: l’esperienza è il nome che ciascuno di noi dà ai propri errori. Consigli? Non accetto consigli, so sbagliare da me. Le lotte tra gli insegnanti dovrebbero avere ben altro spessore. Bisognerebbe insegnare a vivere. Non lo dico io. Lo dice E. Morin. Chi scrive ha una biografia pubblica: catturato dalla scuola a sei anni e mai più restituito alla vita civile. Dad o in presenza? Ad impossibilia nemo tenetur. Ma se gli insegnanti smettessero di essere psicologi (ce ne sono in abbondanza e campano da NARCISI MALEVOLI -FROMM-) forse potremmo andare avanti insieme. E INSIEME è una parola bellissima. Sa di pace. Sa di scuola vera. Sa di vita. E di vita abbiamo bisogno. Vito Piazza ispettore emerito.
Vito Piazza, ispettore emerito