A Partanna ci sono arrampicatori sociali? Possiamo dire senza tema di smentita che il paese (la famosa cittadina “belicina” trita e ritrita espressione di chiunque scriva per il pubblico) non ne è pieno, ne è sommerso. Tracima, deborda. Si nasce arrampicatori sociali, si succhia tale aspirazione col latte materno, si rinforza col contatto con altri pure loro toccati da questo virus endemico. Il partannese: scimmia o animale politico?. «L’uomo è per sua natura un animale politico». Dal celebre passo della Politica di Aristotele sono derivati tutti i mali di cui soffre oggi la società partannese. Enzo Culicchia, accusato di tutto e di più, in questo non ha colpa. Perché fu un politico a cui molti si ispirarono senza riuscire ad imitarlo e non sapremo mai se questo fu un bene o un male. Ma la politica costituisce solo la punta dell’iceberg nel mostrare come l’uomo, quell’animale che un tempo si arrampicava sugli alberi, abbia ora come unico interesse quello di salire la scala sociale. Ovunque volgiamo lo sguardo, troviamo arrampicatori sociali. Desmond Morris aveva ragione quando sosteneva che, a giudicare dai denti, dalle mani, dagli occhi e da svariati altri aspetti anatomici, l’uomo è chiaramente un primate di qualche genere, ma di tipo molto strano. È talmente strano – sostiene Morris – da essere ovunque fuori posto. Con l’arrivo della cultura – e di tutto il suo portato di arrivismo – le vette sociali hanno sostituito i rami e l’ambizione è diventata il motore dell’arrampicata sociale. L’ambizione rappresenta una forte tensione verso il potere e il successo personale, ma l’obiettivo è di voler diventare uomini di successo, non uomini di valore. Per realizzare le proprie ambizioni il partannese doc dovrà passare per le forche caudine dell’adulazione – che consiste nell’ossequio umile di chi sta un gradino sopra il proprio – e, una volta giunti alla meta, ci si comporterà come il protagonista del Barone rampante di Calvino, convinti che il ramo a cui ci si è attaccati sia il meglio per se stessi e la propria famiglia. Giunti alla meta, l’importante è non riconoscere chi ci ha aiutati nella scalata e se si tratta di un posto in un ufficio pubblico, vige un’altra regola: considerare il “posto” non A SERVIZIO del pubblico, ma a PROPRIO servizio. E gli altri? L’alibi non manca, si risponde (dentro di sé naturalmente) che “a un parmu di lu me culu..”. La promozione sociale impera: l’eternità non è più affidata alle proprie opere, ma all’ascensore sociale che porta sempre più in alto. In tutta la cittadina “belicina” (.. azzo ci sono cascato anch’io!) impera l’ansia di promozione sociale che invade i settori della vita pubblica e privata e in tutte queste derivazioni si dimentica che, prima dell’uomo politico, c’è l’uomo in quanto animale, uno scimmione nudo che si è autoproclamato Homo sapiens. Qualche colpa potrebbe essere data a Darwin (o piuttosto al cugino, Francis Galton, che trasferì in ambito sociale una teoria che era solo antropologica). Forse oggi l’uomo sarebbe meno preoccupato se si ricordasse di essere pur sempre una scimmia. Nuda. Attenzione: se «ricordasse» di essere una scimmia, non se «si comportasse» come una scimmia, realtà sociale ed effettuale di tanti, troppi partannesi che imitano e invidiano. Nella società lavorativa e relazionale in genere non tutti sono Re e, soprattutto, sarebbero in pochi ad accettare che un Re se ne vada in giro nudo. Sostanzialmente il messaggio generale è questo: perché accontentarsi di ciò che si è (in realtà si HA) se si può essere (in realtà AVERE) qualcosa di migliore? Perché andare in giro nudi se ci si può vestire da Valentino o Versace e fare colazione da Tiffany? Perché limitarsi a fare la maestra se si può fare anche la psicologa? Perché limitarsi a insegnare matematica se si può essere coltivatori diretti senza mai aver usato una zappa? Basta mettere il nome della moglie casalinga e il gioco è fatto! E’ una condizione quasi naturale in un paese belic…no, no in un paese come il nostro dove non esiste la semplicità: un carabiniere è come minimo appuntato, l’appuntato brigadiere, il brigadiere maresciallo, il geometra “ingegniere”, l’impiegato di banca funzionario, il maestro professore e su su fino a incocciare il principio di Peter che suona più o meno così: uno può scalare la scala sociale (e perciò arrivare sempre più in alto) ma prima o poi arriverà al gradino in cui la sua incompetenza sarà talmente forte da influire negativamente sui suoi risultati causandogli anche frustrazione e stress. C’è un rimedio? Non uno, ma mille. E una scuola davvero riflessiva (che cambiando intitolazione credeva di cambiare gattopardianamente lo spirito, i principi i valori) avrebbe potuto fare molto. Ma la scuola ormai è fatta da gente che si è laureata a Costantinopoli o in Romania o presso Enti più o meno truffaldini che danno diplomi e lauree in cambio di monete. Cane non mangia cane. Eppure, da inguaribile ottimista quale sono, qualcosa voglio suggerire, desunta dalla mia vita interamente, inutilmente dedicata alla scuola. Se il motore che vi ha spinto sono i soldi, fate vostra la frase di Kipling che io tenevo bene in vista nei miei uffici: UN GIORNO INCONTRERETE QUALCUNO PER CUI IL DENARO NON CONTA: ALLORA VI ACCORGERETE DI QUANTO SIETE POVERI. Ma per i partannesi i soldi sono una conseguenza. Il partannese vuole soprattutto piacere. L’obiettivo di piacersi richiede sacrifici, rinuncia a quella reputazione raggiunta tramite amicizie e pettegolezzi. Bisogna avere il coraggio di effettuare quello che gli inglesi chiamano “Decluttering”. Che può essere tradotto con eliminazione dell’ ingombro disordinato. E se “to clutter”( mi si perdoni la non conoscenza dell’inglese della Regina) vuol dire “mettere in disordine, accumulare in modo caotico” (il clutter è un ingombro, del materiale che ostruisce il cervello nel nostro caso, il Decluttering significa eliminare tale ingombro. Solo dopo l’eliminazione di tali idee e nozioni ingombranti si potrà tendere ad arrivare allo “splace clearing” che consiste in una vera e propria cerimonia purificatoria degli spazi (anche e soprattutto mentali), da effettuarsi dopo l’eliminazione del superfluo.In fondo è ciò che sosteneva Bacone: prima di costruire una casa bisogna eliminare i detriti, tutto ciò che ingombra lo spazio dove costruiremo la nostra casa. Bacone l’ha chiamata PARS DESTRUENS. Solo dopo che avremo eliminato il superfluo potremo costruire il necessario. E’ ciò che dovrebbe insegnarci la pandemia. Ma i partannesi e le istituzuioni che li guidano (enti locali, scuole, istituzioni culturali) hanno fatto propria la frase attribuita a Oscar Wilde: DATEMI IL SUPEFLUO, FARÒ A MENO DEL NECESSARIO. Vito Piazza, ispettore emerito PS. Se qualche lettore fosse talmente masochista da voler conoscere (in realtà si tratta di Riconoscere) quali siano i nostri ingombri mentali, riporto, su www.giornalekleos.it, nella rubrica la pagina graffiante di Piazza, brani del mio “Antidirigente, come fare il Ds nel peggior modo possibile”.
Il manuale dell’antidirigente
Come dirigere una scuola nel peggior modo possibile
Diventare uomini di valore? Più facile diventare uomini di successo.
Si tratta di un processo di socializzazione che ha inizio fin dalla nascita, e la scuola ne è la principale artefice. Come? Fornendo dei modelli che non si possono rifiutare, visto che i nuovi arrivati vengono immersi nel rassicurante ambiente di sempre, dove la «vestizione» nelle abitudini comincia con il pannolino. In fondo, la socializzazione non è che il processo con cui apprendiamo le abitudini e gli atteggiamenti legati al nostro ruolo sociale. Senza la socializzazione non saremmo in grado di interagire con gli altri: in pratica non potremmo vivere.
Naturalmente c’è chi nasce con la camicia e chi invece suda sette camicie per poterne indossare una. In una società legata alla permanenza (Clausse) il contadino riceveva un’educazione da contadino e il cavaliere da cavaliere.2 Prima della rivoluzione industriale, ognuno veniva educato secondo la categoria sociale di appartenenza e Suchodolski — a questo proposito — afferma che non era l’educazione ad attribuire una determinata posizione nella società, bensì la posizione sociale a determinarne l’educazione. La rivoluzione industriale fece sorgere la necessità di un’istituzione che addestrasse, in modo continuativo e diretto, a fare ciò che il potere dominante voleva. E ci mise del suo per-fino Martin Lutero che, per diffondere la Bibbia, promosse in ogni dove scuole per apprendere a leggere e scrivere in tedesco. Nacque così la scuola, non per democrazia, ma per necessità. E nella scuola esistono dei ruoli. Esiste la gerarchia. Esistono i concorsi. Esiste l’emulazione, che è un termine che vuol dire che «l’erba del vicino è sempre più verde».Nella scuola molti, troppi sono tentati di partecipare ai concorsi che portano sempre più in alto nella scala gerarchica. In realtà, è anche un fatto di logica: sembra naturale, infatti, che un docente che arrivi al più alto grado di competenza nell’insegnare partecipi al concorso e diventi un Dirigente. In questo modo, però, si sottrae spesso alla scuola un ottimo insegnante per avere il più delle volte un pessimo Dirigente…Malgrado si senta parlare di «strategia di scopo» — vale a dire che ogni figura della scuola ha il medesimo scopo, cioè la crescita della qualità dell’offerta formativa —, non è difficile accorgersi che l’insegnante ha un contatto diretto con bambini e adolescenti, mentre il Dirigente ha a che fare con adulti, che non sono altro che bambini cresciuti che hanno abbandonato candore e intelligenza e hanno acquisito quell’esperienza che Oscar Wilde definiva «il nome che ciascuno di noi dà ai propri errori».Quando vengono pubblicati i bandi, non correte a inoltrare la domanda. Aspettate. Riflettete. Il vostro sarà comunque un campo di battaglia e non solo sarà vostro il campo, ma sarà vostra pure la battaglia. Aspettate. Come dice Sun Tzu in L’arte della guerra: «Chi si attesta per primo sul campo di battaglia e ivi attende l’avversario è più fresco; chi vi giunge per ultimo e si affretta all’attacco è invece affaticato. L’abile guerriero fa quindi in modo che gli altri vengano a lui ed evita il contrario».3 Lo stesso Tzu sosteneva che il miglior modo per vincere una guerra è quello di non farla.Quindi indugiate, e pensateci mille volte prima di cadere nella trappola della dirigenza, che vi porterebbe a rinunciare all’uso quotidiano della vostra intelligenza e di quella bontà innata che un vero Dirigente non può permettersi. Del resto, il mondo della scuola, come quello della società, è pieno di Dirigenti. E malgrado i numerosi tentativi della scienza di trovare un rimedio per eliminarli, la ricerca è ancora in corso.Lo scopo di questo testo è far sì che vi convinciate che la migliore scelta da prendere è quella di quieta non movere et mota quietare. Tuttavia, se proprio vi volete intestardire a diventare Dirigenti, allora questo libro vi farà sopravvivere e, nel caso siate particolarmente dotati, magari vi farà anche vivere bene, nonostante esercitiate uno sporco mestiere (che comunque qualcuno deve pur fare).In ogni caso, sarà sempre meglio che lavorare.
Cosa si ricava dal diventare Dirigente scolastico? Una soddisfazione, ma poi? E se anche voi foste colti dalla sindrome di Ulisse che investigava ogni anfratto del Mediterraneo? Sappiate che — come sosteneva Kaspar Hauser —«per quanto sia audace esplorare l’ignoto, lo è ancor di più indagare il noto».Non ci cascate anche voi. Comandare comporta responsabilità perché si sarà ritenuti responsabili non solo per quello che si fa, ma anche per quello che non si fa (ad esempio, nell’omissione di atti d’ufficio…).L’importante è essere guidati da sani principi, magari modificati un po’ alla Cicero pro domo sua. E se il Dalai Lama afferma che bisogna seguire le 3 R («Rispetto per te stesso», «Rispetto per gli altri», «Responsabilità per le tue azioni»), fate in modo che le seconde siano subordinate alla prima. E lasciate perdere la voglia di addomesticare quelle belve furiose che oggi sono i vostri colleghi e domani saranno i vostri subordinati. Diventerete per sempre responsabili di quello che avete addomesticato. «Io sono responsabile della mia rosa», ripete il Piccolo Principe. Ma i vostri colleghi? Più spine che rose. Per consolarvi, pensate alla filosofia della Legge di Murphy: «Sorridi. Colui che sorride quando le cose vanno male, ha pensato a qualcuno cui dare la colpa».
I suggerimenti che troverete in manuali come Il Dirigente presto e bene, che sono tra l’altro molto noti e che potete tro-vare un po’ dappertutto, sono dei macro-consigli per tutte le leadership e vi saranno utili sia che voi facciate già il Dirigente scolastico sia che vi prepariate — s’intende contro il nostro parere — al concorso da Dirigente. Vi siete già iscritti a uno dei tanti improvvisati corsi on line? Bene, la strada per perdere l’avete già scelta…Salire la scala gerarchica può essere più pericoloso che discendere l’inferno dantesco.
L’incompetenza primeggia nelle aule scolastiche. Un diplomato su tre legge come uno studente di quinta elementare ed è un fatto comune che nelle università si organizzino corsi di lettura per comprendere i libri di testo! L’indagine OCSE del 2016 ha collocato l’Italia al penultimo posto per capacità di lettura, prima della Turchia. Peter e Hull hanno osservato una progressione dell’incompetenza direttamente proporzionale all’ascesi gerarchica e hanno ipotizzato che la causa non fosse da ricercare all’esterno (diffi-coltà di accesso, problemi economici, dispersione, ecc.) bensì intrinseca. Hanno cominciato a studiare come si sale nella scala gerarchica e cosa accade dopo ogni promozione a un gradino superiore. Risultato evidente? Le persone vengono promosse da una condizione di competenza a una di incompetenza.1 (Peter L.J. e Hull R. (2008), Il principio di Peter, Milano, Calypso.)