Mi sfugge l’anno, forse cinquanta anni fa o meno: ma quando a Partanna arrivò la nuova illuminazione, il paese fu talmente acceso che – si disse – a Salemi vedendo quei bagliori enormi e sconosciuti gli abitanti furono talmente preoccupati da urlare: “Partanna brucia”. E molti – si disse – partirono per i soccorsi convinti che ad accendere il fuoco al paese dei fossati e soprattutto dei fossi, fosse (cacofonico ma corretto) stato un novello Nerone. In realtà la corrente (che qui tutti chiamiamo luce) aveva cambiato gestione e proprietà: era stata “nazionalizzata”. Sulla scia dei ricordi, ricordo (cacofonico) che il proprietario dell’energia era il signor Patera, detto “scagninuto” non so se per via dei suoi denti aguzzi come quelli di uno squalo o per via dei guadagni che la proprietà della luce gli procurava pemettendogli di mangiare abbondantemente, cosa desueta per un partannese tipico che a malapena riusciva a combinare il pranzo con la cena. Poi la luce fu. Ma solo col bel tempo: ad ogni temporale (ah i temporali di una volta! Senza riscaldamento terrestre!) la luce mancava e si riprendevano le candele e il petrolio in tale quantità che i paesi arabi e le sette sorelle pensarono bene di aumentare il prezzo di ogni barile. Poi, dal terremoto del ’68 in poi, le cose migliorarono non solo per gli avvoltoi della ricostruzione (i nomi li sanno tutti, ma a nessuno conviene parlare) ma anche per la gente comune. In ogni caso da sempre la luce (corrente, energia ecc.) è stata sempre considerata un bene prezioso: chi non ricorda i vicini che per risparmiare la propria luce andavano a sedersi e godersi il fresco dai vicini? E questi a loro volta la sera dopo prendevano il colpo di prima restituendo la visita? Il risparmio energetico comportava conflitti di interesse e liti, perciò la luce mancava più spesso per un motivo più che valido e pacifista: l’Enel era per una convivenza civile e pacifica: per questo faceva mancare la luce sempre più spesso: perché la gente evitasse i conflitti e se ne stesse a casa propria, vivendo a tentoni, tastando gli oggetti che così diventavano cose. In tal senso si perdonerà, a chi scrive queste note, la propria formazione classica anche se a Partanna è difficile perdonare chi ha studiato: nel Moretum (corrispondente alla nostra focaccia) un pometto attribuito a Virgilio, Simulo, un povero contadino, si sveglia a buio e si lascia scivolare dal pagliericcio e con la mano, tastando e a tentoni, cerca il focolore. Soffia – sempre a tentoni – la cenere e soffia per ravvivare il tizzone rimasto acceso. Ci vede un po’ e riesce ad accendere la lampada: dall’esperienza tattile passa a quella visiva: gli “oggetti” inanimati diventano COSE: qui la lampada, l’olio, più in là le bietole, la farina e così si fa il moretum, la focaccia del titolo. Dopo l’intervallo del sonno, la vita pratica riprende il senso e i significati del quotidiano. La luce vince sul buio, ciò che la notte aveva confuso ora diviene chiaro, lampante, assume determinatezza. E’ la vita. Ad oggi noi uomini della montagna (un partannese la conosce perché ci sono due chiese dedicate alla Madonna della Libera) viviamo ancora nel sonno, ma quando le ultime stelle impallidiscono qui la luce un giorno a settimana da quasi due anni non c’è. E con la luce latitante si spegne ogni forma di vita che sappia di XXI secolo. Si torna al medioevo. Ma i medievali usavano ciò che il Mediovelo offriva loro e con i mezzi di allora sapevano cavarsela. Noi colpevoli solo di essere nati in quest’epoca che molti definiscon postmoderna abbiamo la colpa di vivere – anzi: di voler vivere cocciuti come con i diritti e i doveri di chi vive nel 2000. Ai partannesi non è concesso: le strade sono buche medievali, le macchine si scassano, il traffico è senza regole visto che il nostro sindaco è dedito agli spettacoli convinto – giustamente a quanto pare – che ai cittadini vadano concessi panem et circenses dato che è convinto che i partannesi non avranno mai il coraggio di ribellarsi. Ma la corrente manca per un intera giornata una volta al mese. Dicono per lavori di manutenzione. Eppure nel resto d’Italia, laddove ci sono le Autostrade, i lavori li fanno solo di notte per non interrompere il traffico. Cosa volete che importi ai partannesi? Sopportano tutto. Ma se di questo si tratta, in verità si tratta di lavori eterni se voluti da Dio o fatti da incompetenti se voluti dall’Ente gestore, l’Enel. In genere manca dalle 9 del mattino alle 4 di sera, un’intera giornata che solo Garcia Lorca vorrebbe durasse fino alle cinco de la tarde. Non c’è luce. Non c’è acqua. Il rubinetto gocciola lacrime e con le lacrime non ti puoi certo pulire. La televisione riposa in pace e non puoi lavare neanche i piatti né prepararti un the o un caffè. A sera, quando torna la luce puoi solo fare il conto di quanto denaro tu hai sprecato, no no, che ti hanno imposto di sprecare: carne andata a male, salami immangiabili, formaggi induriti e ammuffiti, calda acqua da bere, per non parlare dei gioielli, quella frutta e verdura che il calore rende mosci, fradici, immangiabili. L’Enel ha deciso. Toglie la corrente quanto le pare e piace. Sensa avvisare. Senza preavvisare: che vogliono quei selvaggi? Le comodità? Ma se tutto il mondo sa che sono babbi partannesi, noi siamo in democrazia, la stessa democrazia di Orwell: tutti i maiali sono uguali, ma noi siamo maiali – noi dell’Enel – più uguali degli altri. E seco con la corrente non arriva l’acqua, i maiali sono esseri famosi per lo sporco. Ma sembra che i maiali si stiano organizzando e si rivolgeranno ad un avvocato per accusare l’Enel e i responsabili di INTERRUZIONE DI PUBBLICO SERVIZIO. Perciò da queste pagine chiediamo ai cittadini partannesi che non si sentono di continuare a vivere nel medioevo e hanno voglia di rivendicare il diritto di usufruire di beni che pagano e non vengono erogati con la protervia di chi si sente al di sopra della legge, di scriverci. Sono interessati a far causa all’Enel? Kleos, per il mio tramite, è disponibile e farà sapere ciò che il grande Che Guevara predicava: le BATTAGLIE SI VINCONO SEMPRE.
Vito Piazza