Gli auguri di Buon Natale di Vito Piazza dalla rubrica di Kleos da lui curata

di Vito Piazza. Una volta mi vantai con il grande Peppe Cusumano (grande in ogni senso, bravo come fotografo) che ero riuscito a fare una foto di un gregge di pecore bianche con una sola nera al centro. Mi disse che era una bella foto e ne fui orgoglioso. Poi lui cercò in un cassetto e mi fece vedere la sua di foto: c’era un gregge di pecore nere con al centro una bianca. Da allora smisi di meravigliarmi e soprattutto di credermi un bravo fotografo. E’ una storia vera che induce alla riflessione specie in questo periodo in cui il Natale induce tutti ad essere più buoni. A Partanna la reputazione è tutto e gli epiteti si sprecano in virtù del fatto che esiste una correlazione significativa tra REPUTAZIONE e PETTEGOLEZZI. La prima riflessione consiste nel chiedersi se i partannesi vivono più nella dimensione dell’AVERE o dell’ESSERE, riflessione resa celebre e sempre attuale da Erich Fromm che tutti citano e nessuno conosce. Noi partannesi, figli di Verga e Pirandello, non potremo mai fuggire completamente da un Dna che attiene alla ROBA. Mastro Don Gesualdo che aveva passato la vita ad accumulare roba (terreni, case, ogni cosa degna di essere posseduta) quando prende coscienza che tutto quello che possiede dovrà essere abbandonato con la morte – res derelicta res nullius – vorrebbe distruggere tutto quello che ha posseduto e si mette a sparare alle galline, alle oche. A Partanna si dice: mortu jè, subbissatu lu munnu. E su questo anche gli uomini di buona volontà non possono farci nulla. Sicuro? O non è un pregiudizio che ci portiamo fin dalla nascita e rappresenta un alibi? Molti si illudono che comunque ciò che si possiede in qualche modo passerà a figli e nipoti. Si illudono, appunto: l’eredità è sopravvalutata un po’ perché un padre riesce a mantenere cinque figli ma cinque figli non riescono a mantenere un padre, un po’ perché “niputi corpa di cuti ecc. Un po’ perché nessuno ha esperienza di “muoio”(sappiamo solo CHE SI MUORE), un po’ perché non sapremo mai se i nostri beni serviranno per far del bene e per tanto altro ancora anche perché il partannese crede di vivere – come Pangloss di Candido – nel migliore dei mondi possibili. E allora perché da noi è così condannabile cu “s’avanta cu li denti un c’è nenti”? Sicuri che chi fa una narrazione positiva di ciò che possiede sia un vanaglorioso? Dire questa frase è quanto di più equivoco e falso si possa sentire. Innanzitutto è implicito il fatto che bolla con questa frase qualcuno che racconta il proprio curriculo, chi si appropria di questa frase è intollerante e vanaglorioso e si erge ad un’altezza sovrumana, ad un giudizio che spetta solo a Dio. Avete notato che chi dice di essere un imprenditore o racconta di possedere case e terreni non viene mai messo in discussione? Non è vanagloria questa? Non è vanagloria affermare di essere modesti e umili? Non si ha il sospetto che se si vanta il ricco è giusto così? Chi invece racconta che a fatica – da poverissimo – è arrivato a posizioni che dovrebbero fare onore a Partanna, “s’avanta”? Succede a tutti gli emigranti che sono sopravvissuti mangiando patate in baracche svizzere gelate, non ci riferiamo solo a chi ha studiato. Chi si vanta di un patrimonio o di un matrimonio con un’ereditiera o di una fortuna ereditata è umile. E umile vuol dire modesto, povero, senza ambizioni. Del resto chi si contrappone alla vanteria è in genere contro il Vangelo, quello della parabola dei talenti che l’ambizioso sa che deve sfruttare perché sono un dono di Dio. Sbagliano tra ESSERE e AVERE. Non sono ricco, ma HO la ricchezza. Non sono possidente MA HO tanti beni al sole. Non sono laureato, MA HO la laurea. Facciamolo per chi poteva dire: IO HO AVUTO SOLO UNA GROTTA IN CUI NASCERE. Buon NATALE!
Vito Piazza


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