CASTELVETRANO – Quando ero ragazzo i giochi si svolgevano sempre per strada in maniera collettiva fra ragazzi dello stesso rione. Nell’attuale via XX Settembre, oltre la chiesa della SS. Annunziata, più comunemente conosciuta come “Badia”, c’era un terreno abbandonato “li cumuna” dove esisteva una discarica di calcinacci. Qui un giorno cercando “li ciappeddi”, pezzi di mattoni piatti tondeggianti, per adattarle ad un gioco simile alle bocce, un mio amico ha trovato un osso particolare, col quale ha insegnato al nostro gruppo un gioco che ha delle somiglianze a quello dei dadi. Da quel giorno non ho più sentito parlare di questo gioco; nessuno dei miei coetanei se lo ricorda.
Dopo più di mezzo secolo, trovandomi al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, per visitare i Bronzi di Riace, ho visto esposto in una vetrina un osso, simile a quello usato da noi ragazzi per il gioco. Ho avuto un tuffo al cuore, in un baleno mi è tornato alla mente quell’osso con cui giocavamo. La guida mi ha spiegato che, al tempo dei greci si usava per giocare. Consultando il blog “Enciclopedia dell’ Arte Antica (1994) di P. Amandry” trovo dei chiarimenti in merito:
Si tratta dell’Astragalo, un nome greco dato ad un osso che si trova nelle giunture delle gambe e dei piedi dell’uomo, e negli arti posteriori dei quadrupedi. In latino si chiamava “talus”.
Astragali sono stati rinvenuti in tutto il vicino Oriente, in Grecia e in Italia; negli abitati, all’interno di edifici pubblici, di santuari e di tombe.
Quest’osso tratto dagli animali fu utilizzato come oggetto di gioco da tempi molto remoti (per lo meno a partire dall’epoca calcolitica, in Asia Minore) fino a epoche recenti.
Il gioco, che si chiama degli “aliossi”, usa gli ossicini di astragali ricavati da pecore o montoni o maiali, perché più piccoli e maneggevoli. Alla stessa stregua di dadi a quattro facce, ad ognuna delle quattro facce era attribuito un valore numerico (1, 3, 4, 6). La combinazione più ambita era il “colpo di Afrodite” che consisteva nell’ottenere con un sol lancio tutte facce diverse. Le regole del gioco ed il numero di combinazioni possibili variavano a seconda del numero di astragali che ogni giocatore lanciava. Questo gioco poteva aver luogo dovunque e in ogni circostanza. Giocavano i grandi ma anche i bambini che ne ricevevano in dono a scuola Essi li consacravano agli dei, al termine dell’infanzia o dell’adolescenza.
La maggior parte di questi ossicini. risalenti all’antichità si presenta nel suo aspetto originario. Vi sono tuttavia esemplari, che sono stati forati in un senso o nell’altro oppure in entrambi i sensi da canali a sezione circolare: numerosi esemplari mostrano una o più facce lisciate, altri sono colorati di rosso vermiglio, altri ancora dorati, o piombati o iscritti con nomi di divinità.
In quelli piombati, risalenti al II millennio a.C., il piombo veniva colato all’interno del condotto o dei condotti che lo attraversavano.
Aristotele spiega che questi ossicini per via della differenza di peso, causato dalle modifiche apportate nelle loro diverse parti, non si spostano seguendo una traiettoria rettilinea, quindi occorreva una certa perizia per il gioco.
All’astragalo si attribuiva un potere magico: portati, come pendaglio, avevano funzione di talismano.
Oltre agli astragali naturali si sono trovati quelli di loro imitazioni in materiali diversi: oro, argento, bronzo, piombo, vetro, avorio, terracotta, marmo, terracotta invetriata, cristallo di rocca, agata, onice, ecc. Tali imitazioni generalmente riproducono le dimensioni di quelli naturali. Un’eccezione è rappresentata da un esemplare in bronzo del peso di 93 kg trovato a Susa (oggi nel Museo del Louvre).
La presenza di astragali nei templi stanno ad indicare il loro impiego nell’ambito delle consultazioni oracolari. In diverse località sono state ritrovate tabelle che recano una lista dei responsi ottenuti in seguito a cinquantasei lanci di cinque ossicini, Un rito oracolare aveva probabilmente luogo anche all’interno dell’Antro Coricio, dove sono stati raccolti 22.000 astragali.
Astragali sono stati rinvenuti nei corredi funerari, specie in sepolture di bambini. All’interno di una tomba a Locri di un giovane morto nel V sec. a.C. esisteva un vero deposito di ben 1002 esemplari.
Vito Marino