Il personaggio: Antonio Varvaro Bruno

PARTANNA – 40 anni fa, il 30 dicembre del 1974, si spegneva nella sua Partanna Antonio Varvaro Bruno, il più insigne cultore di storia patria partannese. Cenni biografici Antonio Varvaro Bruno, o, come comunemente viene chiamato, il prof. Varvaro, nasce a Partanna il 4 novembre del 1896 da Gaetano e da Grazia Bruno Rizzo. Ancora ragazzino di otto anni perde la madre e nel volgere di breve tempo, uno dopo l’altro, la sorella, il fratello e, infine, anche il padre. Dopo le scuole elementari, frequentate nella città natale, si avvia agli studi presso la Scuola Normale di Trapani. Qui, nel 1919 consegue, pur tra mille difficoltà connesse alle vicende della Grande Guerra, il diploma magistrale, cui fa seguire l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole elementari che gli consente di iniziare nel 1920 la sua carriera a Bengasi. Dopo tre anni, però, rientra in Sicilia per svolgere la sua attività di insegnante prima a Licodia Eubea, quindi a Linguaglossa, a Taormina, a S. Ninfa e infine a Partanna, dove conclude la sua carriera nel 1963, dopo 43 anni di servizio. Durante la sua permanenza nelle città della costa jonica, consegue da autodidatta la licenza liceale e si iscrive alla facoltà di Lettere presso l’Università degli Studi di Catania, dove, il 30 ottobre 1930, consegue la laurea. Cinque anni dopo, il 29 giugno del 1935, sposa la sua concittadina Vincenza Maria Teresa Bruscia, insieme alla quale mette al mondo quattro figli. Muore a Partanna il 30 dicembre del 1974. L’uomo e l’educatore Il prof. Varvaro lascia di sé il ricordo di un uomo che ama vivere in santa modestia, lontano dai clamori mondani, secondo i dettami della religione cristiana a cui egli resta fedele fino agli ultimi suoi giorni. Un uomo dall’interiorità profonda, appartato nel suo santuario di storico sognatore, tra scaffali ricolmi di volumi e manoscritti e pareti adorne di cimeli d’arte, di documenti storici, di reperti archeologici. E nel contempo un uomo fortemente impegnato sul piano sociale a cui prende parte idealmente mediante i suoi scritti e concretamente mediante la sua attività di insegnante. Non a caso, come sottotitolo ad una silloge di poesie, in un trittico ideale pone la Scuola al primo posto, seguita da Religione e Patria. La passione che egli mette nella sua ultraquarantennale attività educativa traspare in ogni suo componimento poetico. Ma è nella poesia “Inaugurando la Federazione dei Maestri Disoccupati”, in cui definisce l’opera educativa come “la più nobile e la più santa”, che egli ci dà un saggio del suo anelito educativo nei confronti delle nuove generazioni, sciogliendo un inno alla “consacrazione” totale del maestro: “Oh, ma non fosti tu, pueril sembianza/che t’esibisti al nostro guardo, allora/che a te sacrammo l’energie fidenti/ de l’intelletto nostro e in più del cuore?” Il letterato Oltre che all’educazione, il Varvaro nel tempo libero ama dedicarsi alla letteratura coltivando la poesia, la novellistica, il teatro. Nascono così versi sparsi e poemetti, piacevoli novelle e spigliate leggende, nonché apprezzati lavori teatrali. I suoi versi sparsi nel 1931 vengono raccolti in un volumetto, “Le Vie del Cuore”, edito a Mazara del Vallo per i tipi della Tipografia Grillo. Una silloge di 20 poesie, composte nell’arco di 13 anni (dal 1918 al 1931) ispirati a sentimenti nobili di “Scuola, Religione e Patria”, come recita il sottotitolo. Tra queste, mi piace ricordare, per il patos che vi circola, “La Croce”, celebrata come “segno di Grazia e di Virtù”; “Selinunte”, posta in un panorama scenografico di “massi da l’ingente mole…simboli muti di vetusta gloria”; “Il Poeta”, cui è affidato il compito di “la Natura cantar, l’Arte e gli amori/de l’anima il gioire, ov’essa è lieta/ del cuore anche i dolori”. I poemetti nascono tutti da eventi d’attualità e talvolta presentano i limiti della “poesia d’occasione”. E’ il caso di “Anno Santo”, che celebra la omonima ricorrenza religiosa del 1933; “Il Re in Partanna”, che osanna il Re in visita a Partanna in occasione delle grandi manovre in Sicilia; “Ad Augusto”, che esalta la conquista dell’Impero; “Aethiopica”, che celebra le “gloriose gesta dei figli arditi de l’Italia nuova”; “La guerra di Spagna”, tesa ad esecrare gli orrori della Spagna martoriata dalla guerra civile. Ma, al di là delle inevitabili sfumature retoriche, che qua e là emergono, in genere questi poemetti risultano pervasi da poesia forte e gentile, in cui vengono rivissuti e trasfigurati la fede in alti ideali, il dramma della nostra patria, la vita di guerra e di trincea, con tutti i suoi orrori, le stragi, le violenze, i delitti cruenti. Novelle e leggende non costituiscono una vera e propria opera. Esse affiorano qua e là in un’operetta, “Partanna e le sue consuetudini folkloristico-religiose d’ieri e d’oggi” (1933), che vuole riportare alla luce usi, costumi, tradizioni, soprattutto di natura religiosa, della Partanna antica. Le sue opere teatrali, infine, (“La spia”, “Ravvedimento” e “Dal bacio al perdono”), pur evidenziando chiari intenti didattici e moralistici, risultano ben costruiti e fluidi nello svolgimento. Lo storico Più che quale educatore instancabile o quale letterato erudito, però, il prof. Varvaro merita di essere ricordato quale cultore di storia patria. Dedicandosi ancor giovane a ricerche storiche e archeologiche intorno alla sua terra e al suo popolo, egli riesce ad approfondirne talmente le vicende da mettersi alla pari dei migliori e più noti cultori di storia siciliana. Sono frutto di tali studi “La Sicilia in Diodoro Siculo”, “La Sicilia in alcuni storici e geografi musulmani”, “Storia del potere temporale dei papi”, tutti ancor oggi inediti. Nonché un gran numero di articoli di natura storica su giornali e riviste specializzate, quali “Il Giornale di Sicilia”, “L’Ora”, “Il popolo di Trapani”, “La Siciliana”, “Il Bollettino di Storia Patria” di Palermo, “La Rivista Araldica” di Roma. Ma è a Partanna che il Varvaro dedica le sue maggiori attenzioni. In cima ai suoi pensieri, quasi in tutt’uno con la famiglia, la religione e la scuola, vi è la sua città natale che egli smania di far conoscere nella sua storia, nella sua arte, nelle sue tradizioni, al punto da essere talvolta accusato ingiustificatamente di mancanza di obiettività nella ricerca e nella interpretazione dei fatti. L’amore filiale per la sua terra, è vero, lo porta a tenere fissa la barra verso l’onore e la gloria della sua Partanna. Ma ciò non toglie nulla alla scrupolosità ed onestà mentale messa in campo negli studi, né, tanto meno, alla scientificità metodologica della sua ricerca storica. Non per niente, chi ha voluto interessarsi della storia di Partanna non ha potuto fare a meno di attingere alla sua fonte, vera miniera documentale, frutto di “anni di studi assidui, di ricerche indefesse” che hanno portato il Varvaro ad “interrogare storici e geografi antichi, rovistare manoscritti inediti, documenti logori e polverosi di pubbliche biblioteche e d’archivi privati perché svelassero i segreti ignoti o dimenticati o illeggibili delle loro paleografiche scritture”. E, principalmente, gli Archivi di Stato di Trapani e Palermo, l’Archivio della Chiesa Madre di Partanna e l’Archivio dei Principi di Partanna di casa Grifeo in Palermo. Monografie storiche Da tale amore e da tali studi nasce una serie di monografie dedicate ad alcune fra le realtà più rappresentative della vita religiosa e civile di Partanna. Riguardo alla vita religiosa ricordiamo, in ordine cronologico, “Partanna agostiniana” (1932), che tratta dell’Ordine dei Padri Agostiniani e del loro Convento e chiesa di S. Nicolò; “L’antica chiesa e convento del Carmelo a Partanna” (1948), individuati nella chiesa “dei Peccatori” e nel quartiere contiguo; “Partanna carmelitana” (1953), che tratta della nuova chiesa del Carmelo con annesso Convento; “Partanna devota di San Giuseppe” (1954), che tesse le lodi dell’artistica chiesa di S. Giuseppe; “Partanna cappuccina”, (1958), che ripercorre le vicende dell’Ordine dei Padri Cappuccini con notizie sul loro Convento e sulla chiesa di S. Andrea, contigui al Cimitero. Riguardo alla vita civile egli pubblica “Partanna illustre per i suoi figli” (1931), una silloge di dieci “medaglioni biografici” su personaggi illustri partannesi; “Partanna e le nuove indagini sulla contea di Paternò e Butera nel sec. XII”(1931); “Partanna e la lapide dei Paternò nel museo Biscari di Catania” (1932); “Partanna e il suo stemma” (1933), commissionatogli dal Podestà del tempo in vista dell’adozione dello stemma per il Comune; “Artisti mazaresi in Partanna” (1934), “Partanna nel Risorgimento”(1961), dove vengono ricordati fatti e persone relativi alla partecipazione di Partanna alla Rivoluzione del 1848 e alla epopea garibaldina. La “Storia” di Partanna Ma dove il Varvaro riesce meglio a profondere la sua competenza di storico e il suo desiderio di glorificare Partanna è certamente nella sua opera più organica, “Partanna nella storia, nell’arte, nella fede e nel folclore”, pubblicata nel 1956 a Palermo per i tipi della “Scuola Grafica ‘Don Orione’”. Il piano dell’opera, da realizzarsi in due volumi, prevedeva la narrazione di avvenimenti e la descrizione di realtà sociali, religiose, urbanistiche e monumentali, relativi al territorio partannese lungo un arco di tempo che partendo dalla preistoria avrebbe dovuto pervenire alla prima metà del Novecento. Purtroppo, il Varvaro riesce a pubblicare soltanto il 1° dei due volumi preventivati, lasciando largamente rimaneggiati e incompleti gli appunti che avrebbero dovuto dare origine al 2° volume. E tuttavia, gli appunti in questione, opportunamente integrati con le notizie e le descrizioni rintracciabili nelle monografie, riescono a dare un quadro d’insieme della storia di Partanna. Il volume pubblicato risulta distinto in tre parti. La Parte I tratta della “Preistoria partannese”, in cui vengono individuate le “antichità nel territorio” dall’epoca sicana all’epoca greco-bizantina (827). La Parte II individua una “Protostoria partannese”, contrassegnata dal “Casale Berbero di Barthamnah” (Su Barthamnah però cfr. la ricerca di Antonino Bencivinni che evidenzia che il nome del Casale Berbero era Bartannah), La Parte III, infine, presenta la vera “Storia” di Partanna, nel periodo che va dal 1139, anno in cui i Graffeo vengono investiti della Baronia, fino al 1627, anno in cui l’ultimo Barone, Guglielmo, viene insignito del titolo di Principe.

Nino Passalacqua


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