Nell’immediato dopoguerra e fino agli anni ’50 nei paesetti agricoli le famiglie più povere abitavano in una sola stanza tuttofare dove coabitavano sei o sette persone più le galline e a volte il maialetto, mentre in un angolo c’era la mangiatoia con il mulo. I più fortunati abitavano in una casetta con la cucina, “lu cessu” (il bagno) in un sottoscala o sgabuzzino e “la cammara” (la stanza da letto). “Lu cessu” prima di tale data non c’era e gli escrementi della giornata si depositavano nel “cantaru” e si svuotavano periodicamente nella concimaia o nel pozzo nero che si trovavano nel cortile o si svuotavano nei terreni abbandonati “li cumuna”. Per le famiglie benestanti l’abitazione, mai a piano terra, comprendeva: cammara pi manciari, cammara pi riciviri, cammara pi dormiri ecc, lu cessu e lu perterra (un terrazzino).
Fra i mobili della “cammara” oltre al letto matrimoniale ci potevano essere le “rinalere” (i comodini) dette così perché nel ripiano chiuso da uno sportello si sistemava “lu rinali” (il vaso da notte), inoltre, la pettiniera, “la muarra” (da francese “l’armoire”) e la “vacilera” di legno, più o meno lussuosa, per lavarsi, con la lastra di marmo sopra, con uno o due buchi rotondi appositi, per sistemarvi “lu vacili” (la bacinella); sotto c’era il posto per la “cannata” (contenitore per l’acqua) e un secchio per l’acqua sporca, da riciclare per il “cesso”. “La vacilera” di ferro battuto aveva la stessa funzione; in un braccio rialzato c’era il posto per appoggiare l’asciugamano.
“Lu cascebancu” (la cassapanca) a volte era posto nell’ingresso ma in mancanza di tale spazio si sistemava nella cammara. Questa cassa, a volte in legno pregiato riccamente scolpito o dipinto, conteneva tutta la biancheria portata dalla sposa come dote del matrimonio e l’abito bianco indossato dalla sposa il giorno del matrimonio.
Anche per le abitazioni dei nobili, prima degli anni ’50 non c’era ancora il “cesso” e di notte, per non uscire fuori, per i bisogni fisiologici si usava l’orinale o “lu cantaru” (cantere o pitale).
Il “water closet” moderno provvisto di sifone, che non lascia passare i cattivi odori, fu inventato nel 1775 dall’inglese Alexander Cumminas; da noi si chiamava “cesso all’inglese” e incominciò ad usarsi nelle nostre abitazioni con il risveglio economico avvenuto dopo la II Guerra Mondiale e collocato inizialmente in uno stanzino o sottoscala.
Della Cammara il mobile più importante era il letto. Il letto dei vecchi tempi, fatto di ferro pieno e di lamiera, era più alto di quello odierno, forse per isolarlo dal pavimento freddo. Lo spazio sotto il letto si usava per ripostiglio. Per sostenere i materassi si usavano “li tavuli di lettu”, fatti di un legno leggero, ma molto resistente, posti sopra “li tranti” (i tiranti ancorati alle due spalliere). In tempi più recenti, ma prima che arrivassero le reti, si usarono “li trispa e li tavuli” (cavalletti di ferro o di legno e le tavole). I materassi abitualmente erano due: uno, ripieno di lana e l’altro, ripieno di “pagghia longa” (paglia di orzo) o di “curina” (crine, palma nana cardata). In inverno, per dare più calore, quello di lana si metteva sopra dell’altro. D’estate i due materassi si svuotavano: la lana si lavava, s’asciugava al sole e si allargava con le mani per renderla più soffice, la paglia, ormai triturata, si buttava e si sostituiva con quella dell’annata. Nelle famiglie dei nobili si usavano più di due materassi. Durante l’inverno non mancava la “cuttunina” (trapunta di cotone), di colore rosso da una parte e giallo dall’altra parte, era un poco pesante, ma tratteneva caldo il letto.
Forse per stimolare le donne poco volenterose, si diceva che il letto “si cunzava” (si sistemava) di mattina appena alzati, viceversa vi si sarebbe coricato il diavolo. Per superstizione (nel passato ogni nostra azione era diretta dalla superstizione), il letto non si metteva mai al centro della stanza e nemmeno con la parte dei piedi rivolta verso la porta, poiché questa è la posizione con cui si sistemano i morti nella camera ardente. Per lo stesso motivo non si doveva dormire su un tavolo di legno, neanche in caso di bisogno.
Vito Marino
Vito Marino