Fino a qualche decennio fa la diagnosi di un tumore significava la fine di ogni speranza. Adesso non solo le percentuali di guarigione aumentano di anno in anno e l’aspettativa di vita sta drasticamente aumentando, ma è possibile anche programmare un futuro, una famiglia. Infatti i trattamenti antitumorali che pregiudicano la capacità riproduttiva non sono più un ostacolo insormontabile per procreare: le tecniche di crioconservazione dei gameti oggi permettono di pianificare una gravidanza dopo l’esperienza del cancro, e di conseguenza dopo aver subito dei trattamenti citotossici che è risaputo che causino infertilità, sia nell’uomo che nella donna. Questo messaggio di speranza per migliaia di uomini e donne che sopravvivono al tumore, sempre più numerosi grazie ai progressi nella diagnosi e nella terapia, arriva dal Focus Oncofertilità, realizzato in collaborazione tra il Ministero della Salute e l’Università La Sapienza di Roma, e rappresenta una leva psicologica straordinaria per affrontare con fiducia il percorso di cura nella prospettiva di progetti importanti, come quello di una famiglia. Sottolineerei che la progettualità del ‘dopo malattia’ è motivo di vita e recupero di energie anche durante la malattia, per cui questo progetto non è solo importante di per sé, ma anche ragionando sulle motivazioni del paziente oncologico, che potrebbero influire anche nel decorso stesso della malattia. Nella paziente donna di giovane età inoltre, evitare una menopausa precoce con le conseguenze negative e i problemi psico-fisici che questa condizione può comportare nel breve e nel lungo termine, significa quasi guarire una seconda volta. Ma vediamo in cosa consiste questa procedura: nell’uomo la crioconservazione del seme rappresenta una tecnica che permette di conservare i gameti maschili per un tempo indefinito a -196°C, dopo che il paziente è stato sottoposto ad uno screening infettivologico approfondito; per quanto riguarda le giovani donne, gli ovociti o il tessuto ovarico saranno prelevati e portati alle medesime temperature con le stesse tempistiche. Sono trascorsi 30 anni da quando venne descritta la prima nascita da ovociti crioconservati mediante la tecnica del congelamento lento: si sono riscontrati ottimi risultati in termini di sopravvivenza allo scongelamento, fertilizzazione e gravidanza, ma i tassi di successo variano della qualità degli ovociti e del numero di embrioni trasferiti. Fino a oggi non sono state riscontrate differenze significative nei bambini nati da ovociti freschi e da ovociti congelati con tecniche di fecondazione in vitro in termini di variazione del numero dei cromosomi, difetti di nascita o deficit dello sviluppo. Ma quando attuare la crioconservazione? L’unico spazio utile è rappresentato dal piccolo periodo che intercorre tra il momento in cui il paziente riceve la diagnosi di tumore e l’inizio della terapia. I centri di crioconservazione dovrebbero essere vicini all’utenza in modo che la procedura non ritardi l’inizio delle terapie, e devono essere rispettate rigide norme di sicurezza per evitare scambi di gameti o possibili inquinamenti da virus o batteri. Attualmente il Lazio è la Regione più all’avanguardia in Italia per criocongelare sia gli spermatozoi che gli ovociti grazie all’accreditamento della banca degli ovociti dell’Istituto Regina Elena di Roma e con la storica banca del seme del Policlinico Umberto I, la prima in Italia, attiva fin dagli anni ’80. Ovviamente spetta al medico oncologo prospettare ai pazienti la possibilità di percorsi specifici di crioconservazione dei gameti prima di iniziare le terapie. Tre Società Scientifiche, la Società Italiana di Endocrinologia (SIE), la Società Italiana di Oncologia Medica (AIOM), e la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), sono al lavoro per elaborare un documento di consenso sulla crioconservazione da proporre alle Istituzioni ed ai pazienti e garantire che questi percorsi siano sicuri e accessibili e abbiano come fulcro banche del seme gestite da una rete di Centri di Oncofertilità in grado di rispondere tempestivamente alle esigenze dei pazienti. L’elemento fondamentale per avviare il percorso rimane però il counseling e l’informazione al paziente da parte del medico: uno dei punti sui quali sono impegnate le Società Scientifiche riguarda proprio l’importanza di trattare il tema della fertilità nei colloqui che accompagnano la diagnosi, che al giorno d’oggi non rappresenta più una sentenza di morte ma un punto di partenza su cui riflettere e programmare bene il proprio futuro. Futuro che, è proprio il caso di ricordarlo, appare sempre più fertile. Fabrizio Barone
La crioconservazione, un figlio anche dopo un tumore
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