La letterarietà del testo poetico – Poesia e dintorni a cura di Tino Traina

Quali sono i criteri che ci consentono di definire “letteraria” un’opera, sia che si tratti di un testo poetico, sia che si tratti di un testo narrativo?
Che cosa rende unanime il parere di molti sulla qualità di un testo, decretandone il valore e quindi il destino nel tempo?
Esiste, in definitiva, una scienza letteraria che basandosi su teorie della comunicazione e su ricerche semiotico-linguistiche, possa fornire criteri oggettivi e universali per la valutazione di un’opera artistica in generale e di quella letteraria in particolare?
Il testo poetico non ha altre finalità che quelle comunicative, al pari di qualsiasi altro messaggio che utilizzi la parola.
Nel caso però di testi filosofici, scientifici, descrittivi, le loro teorie, dottrine, descrizioni possono essere esposti da relatori diversi e con diverse parole senza che se ne alteri il significato.
Ma se noi proviamo a cambiare una sola parola di un testo poetico, ne derivano tali cambiamenti sul piano ritmico-metrico-timbrico da provocare una caduta di qualità non solo formale ma anche semantica.
Ciò avviene perché nel testo letterario la struttura linguistica coincide con la struttura artistica ed ogni elemento metrico, timbrico, sintattico, morfologico, lessicale, figurale, simbolico funge da significante che si eleva come valore allo stesso piano del significato, realizzandosi in modo inscindibile quella semantizzazione del significante che sta a base della letterarietà di un testo poetico.
Essa consiste in quella serie di artifici retorici che si manifestano sul piano formale come dominio del significante, cioè della fisicità della parola come suono, forma, posizione nel verso; e sul piano del significato come ambiguità, polisemia, areferenzialità del testo poetico.
Il poeta utilizza le stesse parole della propria lingua e le regole della stessa grammatica, ma opera nei confronti della lingua parlata come uno slittamento, uno spostamento in senso metaforico che gli consente di riutilizzare la stessa parola ma con un significato diverso.
Facciamo un esempio con le parole “testa” e “nuvole”.
Nel linguaggio della comunicazione ordinaria si è convenzionalmente stabilito che la parola con il suono e con la forma “testa”, suono e forma che nessun’altra parola possiede, si riferisca a quella parte del nostro corpo che poggia sul collo, che contiene gli occhi, il naso, la bocca, ecc.. ecc.. e che la parola con il suono e la forma “nuvole” si riferisca a quegli addensamenti vaporosi del cielo che portano la pioggia.
Ma se dico che hai la testa tra le nuvole è chiaro che ho usato i due termini con significato diverso dal convenzionale, più precisamente per dire che sei distratto o che sei un sognatore.
In questo caso ho usato le parole “testa” e “nuvole” non più in senso denotativo, cioè descrittivo-referenziale, ma in senso connotativo, da cum-notare, cioè con significati aggiunti che dicono altro pur essendo le parole le stesse.
Sul piano del significato, come abbiamo già detto, il testo poetico si caratterizza per ambiguità, polisemia, areferenzialità.
Ambiguità in quanto le parole del linguaggio poetico rimandano a più significati: se io dico”non vedrò il sole di domani”, può significare o che subirò un intervento agli occhi per cui verrò bendato; o che dovrò restare chiuso al buio; o che accecherò; o che morirò; o che ci sarà un’eclissi totale di sole; ecc..; nella frase “ un’onda muove il mare” non è chiaro quale sia il soggetto e quale il complemento oggetto.
Polisemia in quanto il testo poetico è costruito secondo il principio della semantica a più gradini, caratterizzata da pluralità di significati disposti secondo diversi gradini di significazione: letterale, allegorico, morale, anagogico e analogico: esempio classico è La Divina Commedia.
Areferenziale in quanto il messaggio poetico non rimanda ad una realtà esterna, ma vive tutto ed esclusivamente all’interno di se stesso, per cui i personaggi di Achille, Ettore, Ulisse, Beatrice, Laura, Silvia non hanno un referente fisico come persone che mangiano, bevono, vanno dal medico o dal parrucchiere, ma vengono elevati a simboli universali che si nutrono dell’immaginario del poeta. (t.t.).


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