La partannese M.G.Alia al terzo posto al premio “Raccontami, o Musa…”

LICATA – Scelto il vincitore della terza edizione del concorso letterario nazionale “Raccontami, o Musa…”, promosso dall’Associazione culturale “Musamusìa” di Licata, presieduta da Lorenzo Alario; al terzo posto la partannese Maria Grazia Alia.
La giuria ha così deciso:
– 1° posto per il racconto “L’Appello di Akil”, di Gaetano Lia (Monterosso Almo, RG)
– 2° posto per il racconto “Capolinea”, di Elena Musso (Agrigento)
– 3° posto per il racconto “Il ritorno”, di Maria Grazia Alia (Partanna, TP)
La cerimonia di premiazione si è tenuta il 15 dicembre scorso presso l’Aula Magna del Liceo Classico “Vincenzo Linares” di Licata.
Componenti della giuria: Angela Mancuso (direttrice artistica del premio), Giusy Di Franco, Franca Bosa, Rosaria Merro (docenti di Lettere), Raimondo Moncada (scrittore, giornalista, regista teatrale).

Il testo del racconto, classificatosi al terzo posto, di Maria Grazia Alia

IL RITORNO
Quando il dolore bussa inaspettato alla nostra porta cogliendoci impreparati e impotenti, non è facile capire quale sia il modo giusto per reagire; per superarlo ognuno di noi si attacca alla vita, agli affetti e alla speranza. Talvolta, anche qualcosa d’irrazionale a cui aggrapparsi può far ritrovare la via per una nuova serenità.
Stamani la signora Elvira si è alzata presto, com’è sua abitudine quando vuole andare in aeroporto. Ha aperto l’ampia finestra della sua camera per fare arieggiare la stanza e per innaffiare i gerani ricadenti piantati in deliziosi e colorati vasi di terracotta invetriata, disposti in bella vista sul davanzale. Ha riassettato il letto con gesti attenti e precisi e si è preparata con cura per uscire. Ora aspetta un taxi. Ha l’aria serena. E’ ancora una bella donna, nonostante i suoi anni. Glielo ripeteva sempre suo marito quanto fosse bella. Lei ne era compiaciuta, anche se con un timido sorriso gli rispondeva:<>. Si erano conosciuti giovanissimi, si erano sposati, ma non avevano avuto figli. Si amavano profondamente; il loro era un amore puro, genuino, incondizionato. Erano sempre insieme, sempre uniti, legati da un amore smisurato. Attilio, il marito di Elvira, per questioni di lavoro, doveva viaggiare e in ogni suo viaggio Elvira gli era stata accanto. Nei loro numerosi viaggi avevano visitato città meravigliose, posti incantevoli, che portavano nel cuore. A ogni ritorno si sentivano arricchiti dalle meravigliose esperienze fatte, dalla bellezza di cui i loro curiosi occhi si erano nutriti. Il viaggio appagava il loro forte desiderio di conoscenza e la voglia di allontanarsi dalla monotonia della quotidianità. Ogni momento dei loro viaggi era un tassello di felicità, di una felicità condivisa, che Elvira e Attilio provavano alla vista del bello, sia che il bello fosse un mirabile monumento o solo un brillare di stelle. Ritornavano da ogni viaggio soddisfatti e questa soddisfazione era frutto dell’intensità con cui avevano saputo assaporare ciò che avevano visto. Con il viaggio affinavano i sensi, ritrovavano se stessi, provavano attaccamento ed entusiasmo per la vita, nonostante loro fosse stata negata la gioia di un figlio. Per molti anni il viaggio scandì le loro esistenze, finché Attilio non si ammalò gravemente. Non poté più viaggiare, perse il lavoro e dopo pochi mesi morì devastato dalla malattia. Per la moglie fu un dolore incommensurabile, un dispiacere così lancinante da portarla alla depressione. La sua vita cambiò drasticamente e per lei vivere non ebbe più senso. Era sola e non accettava la morte del marito, ma, dopo anni di sofferenza e terapie più o meno efficaci, Elvira cominciò a pensare al marito come in viaggio, un viaggio dal quale un giorno all’altro sarebbe tornato. Questo pensiero le dava conforto. Era un pensiero che andava al di là della ragione, ma la aiutò a vincere la depressione e a ritrovare la strada. Quando sentiva di più il peso della solitudine, la donna andava in aeroporto. Lì la giornata scorreva veloce. Le piaceva sostare agli arrivi, come in attesa di qualcuno. Scrutava le persone accanto a lei, cogliendo nei loro occhi la trepidazione per l’attesa di un congiunto lontano da tempo e poi, finalmente, la gioia nel riabbracciarlo. Seduta su una panchina, provava a immaginare cosa avessero visto i viaggiatori, dove fossero stati, se avessero viaggiato per necessità o per desiderio. L’intenso abbraccio di due giovani innamorati la emozionava e la riportava indietro nel tempo, ai giorni felici trascorsi con il marito. Nella felicità degli altri, Elvira rivedeva la sua e provava a dare un senso a tutto quello che le era accaduto, acquistando via via la consapevolezza che tutte le cose belle sono tali proprio perché fugaci e che , quindi, la vita merita veramente, malgrado le difficoltà, di essere vissuta in ogni suo unico, prezioso, irripetibile istante. Tra la gente che andava e veniva, Elvira viaggiava con i pensieri, nel tempo e nello spazio, ripensava al suo passato, al suo Attilio. Ma non era triste. In cuor suo serbava la speranza di rivederlo; anche lei un giorno, chissà quando, sarebbe partita per lo stesso viaggio. Alla fine, in un modo o nell’altro, con il suo Attilio si sarebbero ritrovati, come prima, per sempre. Ecco, è arrivato il taxi. E’ ora di andare. La donna non ha mai detto a nessuno perché va in aeroporto; nessuno capirebbe. Prima di uscire Elvira accarezza il suo amatissimo gatto, che sornione fa le fusa. << Ciao micio, torno presto … tanto anche stavolta Attilio perderà il suo aereo!>>.

Maria Grazia Alia


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