La Sicilia tagliata in due dal crollo del ponte sulla ss 115

Nessuno, in questi ultimi decenni, ha mai pensato che il crollo di un ponte, sull’unica arteria che unisce ben tre province, potesse tagliare in due la Sicilia sud-occidentale. Eppure è successo il 2 febbraio scorso quando la campata centrale del ponte sul fiume Verdura, tra Ribera e Sciacca, è venuta rovinosamente giù, bloccando di fatto, da allora, il transito veicolare tra le province di Agrigento, Trapani e Palermo.

I disagi per decine e decine di migliaia di viaggiatori, che percorrono quest’area geografica, sono gravissimi perché l’Anas ha individuato un percorso stradale alternativo, più lungo di circa 40 chilometri, che sale verso i comuni dell’interno collinare agrigentino, su strade provinciali e intercomunali, poco adatte e inadeguate a sopportare una tale intensità di traffico.

Il ponte crollato sul fiume Verdura

Chi ne fanno le spese sono i lavoratori pendolari, docenti, impiegati, studenti costretti a fare tortuosi giri, allungando il tratto di un’ora e mezzo, gli agricoltori che non possono lavorare la terra e raccogliere le pregiate arance, al di qua e al di là del corso d’acqua agrigentino, i commercianti che si servono dei mezzi gommati per il trasporto delle merci. A risentirne è pure il turismo perché i pullman con i visitatori fanno lunghi giri prima di arrivare negli alberghi sulla costa.

E la burocrazia e soprattutto i tempi lunghissimi delle istituzioni preposte a trovare una soluzione fanno da padrone. Basta pensare che il crollo del ponte è del 2 febbraio scorso e che al 10 marzo il cantiere per la ricostruzione dell’importante via di comunicazione deve essere ancora aperto, in uno stato di grave calamità naturale. L’Anas, dopo una serie di vertici in prefettura e alla protezione civile di Agrigento, ha deciso che il ponte crollato doveva essere ricostruito con tubi Irmco di 5 metri di diametro sui quali fare passare il nastro di asfalto e i veicoli. Ha annunciato che il transito veicolare sarebbe stato riaperto entro 45 giorni, ma oggi, a 36 giorni di distanza, i lavori devono ancora cominciare.

Da più parti era stata sollecitata da tecnici privati la costruzione, in pochi giorni, di un ponte del tipo Bailey, che di norma l’esercito e il genio militare dei pontieri realizzano subito e sul quale passano perfino i carri armati. Senza alcuna spiegazione plausibile, l’Anas ha deciso che si doveva ricostruire, in via provvisoria, il ponte crollato, in attesa della costruzione futura di una nuova via di comunicazione e di attraversamento del fiume Verdura.

I ritardi sono notevolissimi e i disagi della popolazione ancora più gravi. Riunioni, vertici, assemblee, sit in, visite sul ponte del presidente della Regione Siciliana Crocetta e del presidente della Provincia Regionale di Agrigento D’Orsi, con lo stato di calamità dichiarato dai comuni agrigentini, a poco sono serviti sino ad oggi per trovare una soluzione adeguata per riaprire al transito veicolare la strada o per trovare strade alternative sicure.

Le popolazioni, gli agricoltori, i commercianti e i viaggiatori per lavoro sono ridotti all’esasperazione e sono pure contenti che sul tracciato viario alternativo non siano successi incidenti stradali gravi che avrebbero fatto gridare allo scandalo. I 45 giorni promessi stanno già per finire, ma l’opera, se non nasceranno intoppi, non potrà essere consegnata certamente prima della fine del prossimo mese di maggio. E il colmo sarà che sulla nuova strada i veicoli passeranno, con il semaforo, a senso unico alternato. In qualsiasi altra regione dell’Italia settentrionale un ponte sarebbe stato ricostruito in meno di una settimana.

 di Enzo Minio

Ponte sul Verdura: Il pilone crollato

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