CASTELVETRANO – I ragazzi dei vecchi tempi (mi riferisco fino agli anni ’50 – ’55), nelle ore libere dagli impegni scolastici o “di lu mastru” (lavoro di apprendista), passavano il loro tempo libero a giocare in maniera collettiva per la strada o nei cortili.
Quando non c’era il numero e la voglia di giocare a gruppi, si stava lo stesso in movimento; così si disturbavano “li taddariti” (i pipistrelli), si acchiappavano e si impiccavano le lucertole con un nodo scorsoio, si cercavano nidi per prendere gli uccellini, si giocava a “paru e sparu” (pari e dispari), a fare “cazzicatummuli” (capriole), “a cu arriva prima” (fare una gara di corsa).
Quando le condizioni atmosferiche non lo permettevano, si raccontavano “cuntura” (novelle), si recitavano filastrocche, si parlava di spiriti e di “attruvatura” (scoperta di tesori nascosti) o si giocava ad “abbisari” (azzeccare indovinelli).
Fra i ragazzi c’era diffusa la convinzione che il pipistrello si poteva catturare semplicemente toccandolo con una lunga canna. Inoltre, recitando la seguente filastrocca, c’era la convinzione che il pipistrello venisse attratto dalla canna come per incantesimo:
Taddarita canna canna
lu dimoniu t’incarna
e t’incarna pi li peri,
taddarita, veni veni.
E t’incarna pi la cura
Taddarita veni allura..
Quando per caso, colpendolo con la canna, si riusciva ad acchiapparne uno, il pipistrello, considerato come un demonio, si buttava vivo nel fuoco purificatore. Una volta ho assistito anch’io ad uno di questi macabri riti.
Vito Marino