La Truscia

Una volta, diciamo fino agli anni ’50, le valige di cartone compresso già esistevano, ma la gente comune per trasportare la biancheria da un posto ad un altro, come nel caso di trasloco, usava avvolgere la biancheria in un telo legato a “ruppa” (nodi) o a “scocca” (fiocco) alle due estremità più lunghe, in modo da creare un manico dentro il quale infilare un braccio fino alla spalla. Questo fagotto si chiamava “truscia”, dal francese “trousse” = fagotto. Ma la “truscia” la usava anche il contadino siciliano per portare il suo frugale pasto, costituito da pane, olive, pomodori, formaggio o “babbaluci a l’agghiotta” da consumare dopo ore di lavoro nei campi. Per similitudine una persona che lasciava molto a desiderare veniva chiamata “truscia di robbi lordi” (fagotto di biancheria sporca).Da “truscia” esce fuori il vocabolo “ntrusciari” (infagottare). “Ntrusciatu” era pure chi, per il freddo si vestiva coperto eccessivamente. Altri contenitori usati per trasportare oggetti vari erano i sacchi di iuta o di canapa e i panieri fatti di canne e polloni di agliastro intrecciati. Caratteristica per quei tempi era la partenza dei villeggianti per Selinunte col trenino a vapore “la paparedda”: la gente si accalcava alle prime luci dell’alba, carica di sacchi e “trusce” contenenti biancheria, alimenti e oggetti vari, mentre nei panieri portavano bottiglie di olio, aceto, vino e posate. Negli anni ’56 – ’60 viaggiando giornalmente, per motivi di studio, da Castelvetrano a Marsala, osservavo i numerosi venditori ambulanti che si spostavano con le “trusce” a tracolla in spalla contenenti biancheria da vendere; mentre sul treno che partiva da Castelvetrano per Palermo i commercianti portavano sacchi pieni di “carduna”, galline, “babbaluceddi” e altro, nascosti sotto i sedili, per sfuggire al controllo del conduttore del treno. Oggi ci sono i borsoni e gli zaini a spalla che sostituiscono egregiamente questo genere di confezione e sono più comodi da portare.

Vito Marino


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