La Violenza Psicologica: Il Gaslighting

Le pagine di cronaca sono ormai ricche di episodi di violenza perpetrati nei confronti di ogni tipologia di vittima; tuttavia esiste una forma di violenza che a tutt’oggi rimane in gran parte taciuta, ovvero quella psicologica. Tale forma di violenza, pur risultando difficilmente riconoscibile rispetto alle altre, è una delle più pesanti, giacché subdola e talvolta impercettibile, ed è causa di danni gravi e talvolta incurabili. Nel 2001 viene definita da Kolb come “violenza che sminuisce ed umilia attraverso continue manipolazioni verbali, attuandosi in modo incostante ed imprevedibile, con il risultato di tenere la vittima sempre sul chi vive, insicura ed in stato di continua soggezione”. Si può quindi definire la violenza psicologica come un insieme di strategie lesive della libertà e dell’identità personale dell’altro, con una conseguente insicurezza, paura e svalutazione di sé da parte della vittima. Tutte le molteplici manifestazioni che essa può avere si riconducono ad un unico nucleo centrale ovvero ad una distorsione ed un irrigidimento nel processo comunicativo all’interno di un rapporto di qualsivoglia genere, causando un vero e proprio “omicidio psicologico” poiché mettono in atto un vero e proprio terrorismo psichico ed un annientamento dell’altra persona. L’aggressore inoltre raggiunge più facilmente il proprio obbiettivo grazie al tentativo di isolamento della vittima: costringendola in casa senza telefono o mezzi di locomozione, controllandone le scelte individuali e le relazioni sociali, sottraendole i documenti d’identità, aprendole la posta. Un esempio di tale forma di violenza, specialmente all’interno della coppia, è dato dal gaslighting, crudele ed infida manipolazione mentale dove l’aggressore presenta alla vittima false informazioni, nega atti di violenza che in realtà sono accaduti e mette in scena eventi bizzarri con l’intento di disorientare la vittima stessa. Tale termine deriva dal film “ Gaslight “ del 1944 del regista americano Cukor, che narra la vita matrimoniale tra un uomo affascinante ed una bellissima donna che viene costretta dal marito a vivere nella vecchia casa di lei ove, con una diabolica strategia psicologica, altera le luci delle lampade a gas della dimora portando la donna alla pazzia. Si tratta quindi di un crudele comportamento manipolatore messo in atto da un soggetto abusante in modo da portare la vittima a dubitare di se stessa e della propria percezione della realtà, cominciando a sentirsi confusa e temendo di impazzire. Esempi di cattiveria: “Sei obesa!”, “Scusatela, mia moglie è manchevole!”, “Sbagli sempre tutto!, Ma come non ti ricordi! Me l’hai detto proprio tu!”, “Non me l’hai mai detto! Te lo sarai immaginato!”, “Le tue amiche sono banali, proprio come te!”, “Se ti lascio rimarrai abbandonata per tutta la vita!”, “Tu sei una nullità!”.

Messaggi dunque di svalutazione, ingiunzioni che feriscono emotivamente e l’anima, ancor di più se pronunciati alla presenza di altre persone come fosse una pubblica umiliazione. Il gaslighter sa come ferire e prova godimento dagli effetti del suo comportamento.

La vittima attraversa tre fasi fondamentali:

1) Incredulità: la vittima non crede a quello che sta accadendo né a ciò che vorrebbe farle credere il suo “carnefice”.

2) Difesa: la vittima inizia a difendersi con rabbia e a sostenere la sua posizione di persona sana e ben “piantata” nella realtà oggettiva.

3) Depressione: la vittima si convince che il manipolatore ha ragione, getta le armi, si rassegna, diventa insicura ed estremamente vulnerabile e dipendente.

Esistono tre categorie fondamentali di manipolatore:

1) il bravo ragazzo che sembra avere a cuore solo il bene della vittima ma in realtà antepone ad ogni altra cosa i propri bisogni,

2) l’adulatore che attua la manipolazione in maniera strategica lusingando la vittima,

3) l’intimidatore che utilizza il rimprovero continuo, il sarcasmo, l’aggressività diretta.

Lo scopo del comportamento di gaslighting, comune alle tre categorie di manipolatori, è ridurre la vittima a un totale livello di dipendenza fisica e psicologica, annullare la sua capacità di scelta e responsabilità. Si tratta di una grave forma di perversione relazionale che rende le vittime talmente assuefatte e dipendenti da essere nella maggior parte dei casi inconsapevoli rispetto a ciò che sta loro accadendo. La violenza si cronicizza non appena la vittima entra nella fase depressiva, quella in cui si convince della ragione e anche della bontà del manipolatore (che si prende cura di lei, la capisce, la sostiene) che è spesso addirittura idealizzato. Ecco che si crea così il paradosso, in cui la vittima idealizza il proprio carnefice. Proprio per quanto detto finora è difficile che chi è vittima del gaslighter si renda conto della situazione perversa in cui vive e chieda aiuto, cosa ancor più vera se si pensa che essa diventa così dipendente da isolarsi anche a livello sociale per la paura di essere inadeguata o giudicata pazza. Più spesso la richiesta di aiuto o la capacità di far “aprire gli occhi” alla vittima arriva da chi le sta intorno, altri familiari, amici o colleghi. È allora che può e deve iniziare il percorso di ricostruzione della propria identità, della fiducia e del senso di sé che porti la donna a liberarsi da una relazione perversa e dolorosa.  Le donne vittime di violenza psicologica, devono imparare a riconoscere che la parte più difficile del viaggio è uscire dalla porta e trovare il coraggio per farlo ammettendo a se stesse che “non c’è peggior solitudine che quello di essere annientate nell’anima e che non è Amore e soprattutto smetterla di sentirsi colpevoli”.

Marilena  Pipitone



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