Il popolino dei vecchi tempi usava poco l’orologio, molti non lo possedevano ed altri non lo conoscevano; tutti però sapevano interpretare il suono delle campane delle chiese.
Esse incominciavano a suonare la mattina prestissimo, poiché verso le ore 4,30 c’era la prima messa per permettere ai contadini, che a quell’ora già si avviavano verso la campagna, di assistervi. Durante la mattinata le campane annunciavano le altre messe ad un orario stabilito e a mezzogiorno suonava “la mezza”.
Inoltre:
Alle ore 15 suonava “l’Agonia”
” “ 16 ” “la 20° ora” (vint’ura)
” ” 17 ” “la 21° ora” (vintun’ura) -3 ore prima dell’Ave Maria
” ” 20 ” “l’Ave Maria”
” ” 21 ” “1 ora di notte”- 1 ora dopo l’Ave Maria
Dopo quest’ora le campane non suonavano più, ma la gente continuava lo stesso a calcolare il tempo con “2 uri di notti” (ore 22), “3 uri di notti” (ore 23), “mezzannotti” ore 24.
Ricordo benissimo che mia madre in inverno, seguendo il suono delle campane, quando suonava 21 ura, diceva con rammarico: “e finiu n’autra iurnata!”.
Durante “l’Ave Maria”, mentre si recitava il rosario in chiesa, in casa, le vecchiette sedute attorno al braciere con la carbonella accesa, o fuori a prendersi il fresco, secondo la stagione, recitavano le loro preghiere.
Poiché in inverno l’Ave Maria si anticipava di un’ora (alle ore 19), anche le altre ore successive subivano delle modifiche.
A conferma dell’usanza di considerare le ore 21, 22, 23 come 1 ora di notte, 2 ore di notte e 3 ore di notte, ricordo che un “viaticu di San Giuseppi”, che mia madre recitava durante il Natale, fra l’altro diceva:
– “Est un’ ura di la notti sa cu c’è darrè li porti? Un Vicchiareddu e ‘na Signura, ci faciti alloggiu a st’ ura? -Nun si po”-. Il viatico continuava così con: su du’ uri di la notti, 3 uri e la mezzannotti.
Anche il Martoglio nelle sue commedie dialettali parla di “2 uri, e 3 uri di la notti”.
Nelle campagne, dove non arrivavano i rintocchi delle campane, era il gallo che annunciava l’approssimarsi dell’alba. Poiché i contadini lavoravano “di li sett’arbi” (dall’alba) “a la cuddata di lu suli” (al tramonto) ovvero: “di lu scuru a lu scuru”, non avevano bisogno di orologio; era il sole che, attraverso l’inclinazione delle ombre lasciate durante il suo cammino, regolava tutte le ore della giornata. Quando il sole era alto sulla propria testa, era “la mezza” e mangiavano qualche cosa. “A la ntrabbunuta” (al tramonto), il contadino smetteva di lavorare, cenava e andava subito a letto, “comu li addini” (come le galline), si diceva.
Verso gli anni ’50 gli orologi delle chiese furono forniti di campane, che annunciavano l’orario con dei rintocchi, ogni quarto d’ora; inoltre suonavano a distesa a mezzogiorno e alle ore 8,20 per sollecitare chi doveva andare a scuola. Alcune persone portavano nel taschino del panciotto un grosso orologio con una appariscente catena appesa all’occhiello. Nelle famiglie dei benestanti, l’orologio a pendolo e quello con il carillon, più o meno lussuoso, non mancava mai. La sveglia, con la cassa metallica, è subentrata in tempi più recenti dando la possibilità, anche ai più poveri, di possederne una.
Poiché il calcolo delle ore, adottato dalla Chiesa per le preghiere, proviene da quello dell’Impero Romano, ho fatto delle ricerche, questa volta in biblioteca, che esulano dallo scopo principale di questo mio libro, ma che cito quì sotto, perché potrebbe interessare (vogliate scusare questa mia presunzione) a qualche probabile lettore.
LE ORE ROMANE – La prima divisione della giornata in ore spetta ai Caldei (1).
Costoro dividevano il giorno e la notte in ore equinoziali, tutte della stessa durata, ed in ore temporali disuguali fra loro, perché ottenute dividendo indipendentemente in 12 parti il periodo dall’alba al tramonto e quello dal tramonto all’alba successiva.
Di conseguenza durante gli equinozi ( il giorno uguale alla notte), le ore risultavano uguali nelle 24 ore, mentre durante i solstizi (giorno più lungo della notte in estate e notte più lunga del giorno in inverno) le ore risultavano disuguali fra giorno e notte.
Tale sistema fu adottato nel III secolo a.c. dai Greci i quali a loro volta lo trasmisero ai Romani.
Dai vangeli si legge che dall’ora sesta all’ora nona, coincidente con l’agonia in croce di Gesù Cristo, il cielo si oscurò e che alla nona ora Gesù spirò in croce. Dalle note a chiarimento, gli stessi vangeli informano che l’ora sesta corrisponde alle ore 12, mentre l’ora nona corrisponde alle ore 15.
Infatti se ci riferiamo alle ore romane, l’alba (ore 7), corrisponde alla prima ora della giornata, mentre il tramonto ( ore 18), corrisponde alla XII ora (ultima ora del giorno). Così avremo:
Ore 7 = I ora (alba)
” 8 = II ”
” 9 = III ”
” 10 = IV ”
” 11 = V ”
” 12 = VI ” (mezzogiorno) ….. .
” 13 = VII ” . . – agonia e morte di Gesù
” 14 = VIII ” . .
” 15 = IX ” . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
” 16 = X ”
” 17 = XI ”
” 18 = XII ” (tramonto)
(1) – Popolo dei Caldei – vissuti nel 2.000 a.c. in Mesopotamia.
– Erodoto (storico e grande viaggiatore Greco di Alicarnasso
-484-430 a.c.- parla di una casta sacerdotale babilonese.
preposta alla interpretazione dei fenomeni celesti.
– Oggi esiste una comunità di cattolici di rito caldeo in Mesopotamia.
LE ORE CANONICHE – Poiché durante le mie ricerche ho trovato questo argomento, mi fa piacere trascriverlo, dato che entra sempre nell’argomento delle ore:
– Si tratta di preghiere composte di salmi, inni, letture, orazioni, che preti e monaci hanno l’obbligo di recitare o cantare, secondo le prescrizioni del breviario.
Dal IX secolo in poi, l’ufficio giornaliero comprende otto ore, in corrispondenza della divisione romana della giornata:
– Mattutino – Laudi – Prima ora – Terza ora – Sesta ora – Nona ora – Vespro – Compieta.
Vito Marino