Il Comenius Project “Don’t waste your future” è iniziato due anni fa e in questo periodo ogni studente ha ospitato ed è stato ospitato da un ragazzo straniero nelle varie mobilità in Germania, Portogallo, Italia e Turchia. Considero l’esperienza in famiglia molto formativa, sia umanamente che culturalmente; tanto più per chi, come me ed i miei compagni, è stato ospite dei ragazzi della Turchia. Devo sinceramente ammettere che ho molto risentito di un forte senso di straniamento una volta arrivata e nei giorni successivi. Ciò che più mi preoccupava era la sensazione di essere da sola in una famiglia così assurdamente diversa dalla mia: costumi, tradizioni e credenze religiose erano diversi, il cibo era diverso, finanche gli odori erano diversi; mi sentivo, tra l’altro, isolata a causa della scarsezza di mezzi di comunicazione. Mi sono, dunque, dovuta rassegnare all’idea che ormai ero là e che, volente o nolente, sarei tornata un po’ cambiata. Ora posso certo dire: viva il cambiamento! Tutti noi siamo nelle condizioni di vantare un’esperienza in più e a chiunque dica “Mamma, li Turchi” potremo rispondere: “Io li ho conosciuti, i Turchi!”. Sì, li abbiamo conosciuti. Abbiamo vissuto con loro, all’interno delle loro famiglie e delle loro case e posso affermare che l’immagine stereotipata che molti hanno di questo popolo non sempre corrisponde al vero. Spesso, per noi occidentali è facile guardare altre realtà dall’alto in basso con l’occhio di chi “ha una mente più aperta e orizzonti più vasti”. Io, francamente, penso che, al di là delle motivazioni religiose e sociali per cui praticano certi costumi, il vero merito sta nel fatto che, nonostante essi probabilmente vivano ogni giorno in una situazione di maggiore rigore (e mi permetterei di dire anche di integrità morale), abbiano avuto il coraggio di mettersi a confronto, in maniera così stretta, con popoli tanto più “aperti”. Mi viene il dubbio che, probabilmente, siamo noi ad avere una mente meno aperta della loro; noi, che spesso ci infastidiamo alla vista di un velo sulla testa, che non concepiamo il loro concetto di vita sociale e che ci indigniamo per loro, non afferrando lo spirito di libertà morale con cui essi vivono. Vi commuovereste se poteste toccare con mano tutto ciò che a noi spesso manca e a cui loro prestano così tante cure. La famiglia, ad esempio. Non ho mai, in vita mia, percepito un senso così forte e profondo della famiglia. L’ospitalità; vi assicuro che noi siciliani potremmo imparare da loro un ancor più profondo senso di questo termine. Anche il loro modo di vivere la fede mi ha colpita. Non la religione di per sé, si può condividerla o meno, ma il modo di integrare la fede alla vita. Non posso essere certa del perché vivano così, nella famiglia che mi ha ospitata non ho percepito costrizioni né autoconvinzioni di convenienza. Ma ovviamente non sono nata e cresciuta lì, non posso dirmi esperta del popolo turco. Di una cosa sono abbastanza sicura però: il loro ambiente sociale non li costringe a nascondersi dietro degli stereotipi. Nessuno li addita come arretrati,”sfigati”- e provinciali se si permettono di coltivare certi valori. Oso dire che la nostra società ha molto da imparare da “li Turchi”.
Sefora Marino IV A