PARTANNA – Risultato lusinghiero per la poetessa partannese Maria Grazia Alia che ha ottenuto con la sua “Lettera a Teresa” la menzione d’onore al 5° Premio Letterario “Città di Fermo”, sezione D, Lettera aperta a tema libero.
La cerimonia di premiazione si è tenuta nei giorni scorsi nella Città di Fermo.
Qui di seguito pubblichiamo La Lettera a Teresa di Maria Grazia Alia
LETTERA A TERESA
Cara Teresa,
finalmente provo a scriverti; non è facile, credimi, trovare le parole giuste per farlo. Le parole sono dentro di noi, fanno parte dei nostri pensieri dando a essi voce e tempo. Mi ha portato a scrivere proprio la necessità di dare voce e tempo ai tuoi pensieri, a quelle parole che tu, impietrita davanti alla lavagna, non riuscivi a dire per descrivere quale orrore fosse stata la tua vita, nonostante gli incoraggiamenti di medici e assistenti. Posso immaginare cosa tu cercassi di dire.
Mi trovai inaspettatamente davanti a te diversi anni fa, sfogliando un libro per approfondimenti sulla Shoah. La mia attenzione fu catturata da un’immagine in bianco e nero raffigurante una bimba di circa otto anni davanti una lavagna, con un gessetto in mano, nell’atto di disegnare qualcosa. Non capisco: il disegno è un vorticoso ammasso di linee contorte, che prendono l’intera lavagna, linee irregolari e intrigate che non si sa da dove inizino e dove finiscano. A confronto la tela di un ragno appare piacevolmente armonica. La bimba ritratta ha lo sguardo sconvolto, quasi spiritato; sembra agitata e oppressa da grande inquietudine interiore. M’incuriosisco e vado a leggere nella pagina a lato la didascalia dell’immagine: “Teresa, bambina cresciuta in un campo di concentramento nazista e successivamente ospitata in un centro per bambini con disturbi mentali, sta disegnando la sua <<casa>>. 1948 Polonia”. Provai sgomento nel leggere queste parole e restai a lungo a fissare, immobile e profondamente turbata, quegli occhi che mostravano tragicamente tutto l’orrore che avevano visto. Quegli occhi, quella bocca, quel nasino, quel vezzoso fiocco tra i capelli, quel vestitino sporco di gesso e quella manina impegnata nell’ossessivo disegno mi toccarono il cuore. Quella bambina eri tu e per te, piccola Teresa, piansi lacrime amare. Non so se tu sia ancora viva. Il tempo è passato e continua a passare, inesorabilmente. La Shoah fu una voragine di sadismo che inghiottì vite, speranze e sogni. Per uomini, donne e bambini, diventati “pezzi“ con un vergognoso numero tatuato sull’avambraccio, iniziò un atroce processo di disumanizzazione. Milioni di innocenti finirono in una meticolosa macchina di sterminio, tra l’indifferenza di chi non voleva vedere … e l’indifferenza è da sempre un infido demone. Quelli che riuscirono a scampare all’orrore, duramente provati dal male subito, riscattarono la loro umanità riappropriandosi a stento della loro vita, riconquistando finalmente, dopo penose umiliazioni e assurdi soprusi, la dignità negata e parlando al mondo, perché non si ricadesse mai più nel baratro dei pregiudizi, dell’intolleranza e dell’antisemitismo. Non per tutti è stato facile parlare della mostruosità dei lager e per i pochi testimoni ancora in vita non lo è tuttora; a distanza di molti anni il dolore è un macigno che opprime. Secondo me, le parole, però, contano molto, sono l’antidoto contro l’oblio, ci parlano del passato, sono un monito contro le atrocità della Storia. E il tuo disegno, cara Teresa, sa essere efficace quanto mille parole, ha una tale forza espressiva da turbare chi lo guarda e sa veramente raccontare la cattiveria umana, il male indicibile inflitto a degli innocenti colpevoli di inesistenti colpe, la violenza perpetrata verso uomini inermi fiaccati dalle vessazioni, dalla fame, dal freddo e dalla perfidia; quelle tue linee contorte disegnano urla e terrore, camere a gas, cataste di morti e forni crematori, dicono di vite orribilmente spezzate, di milioni di innocenti ridotti in cenere, cenere al vento. I campi di concentramento erano questo, erano un inferno e tu, che in quell’orrore sei cresciuta, con quel disegno hai guidato e continui ancora a guidare chi lo guarda in un viaggio a ritroso nel dolore, un dolore che annienta l’innocenza genuina dei bambini e che crea fantasmi che non andranno più via. Da allora, da quando seppi della tua esistenza, spesso visiti i miei pensieri. Ho fatto mio il tuo dolore e nel tempo ne sarò testimone.
Ciao Teresa, ti tengo nel cuore e volevo dirtelo.
Maria Grazia Alia