Premesso che il discorso che farò vale anche per il sottoscritto, la pagina che qualcuno ha ancora il coraggio di leggere non sarà forse delle migliori, almeno a livello di percezione sociale: noi partannesi abbiamo tante virtù (pubbliche) e tanti vizi (privati). E quando dico vizio non intendo certo riferirmi a quello che preti integralisti del passato consideravamo il vizio per eccellenza: la fornicazione. Ricordo che da giovane aspirante non capivo che questo era il “vizio” che era: e non capivo come l’ammazzare formiche potesse diventare un elemento patologico che avrebbe portato – secondo i preti di allora – a diventare ciechi o, nel migliore dei casi, a rimanere nani in età adulta. Il nesso forse lo avrebbe trovato più tardi Fabrizio de Andrè parlando dei portatori di “fra tutte le virtù, la più indecente”. Più facile capire il comandamento nella sua forma canonica: non commettere atti impuri. Confesso che quando mi confessavo era come andare al macello: alcuni ricorderanno come le donne si dovessero confessare attraverso la grata, mentre gli uomini e i ragazzi in particolare stavano faccia a faccia col confessore che più che un confessore era un Torquemada, uno degli inquisitori più violenti che di Matteo Messina Denaro che si vanta di aver ucciso tante di quelle persone da riempire un cimitero, si faceva un baffo. L’inquisitore era lì, davanti a te, lui grande e grosso con un collo taurino e delle mani che erano badili. Ci giravi attorno: “ho disubbidito a mamma”. E lui: e anche a papà? Sì, era la risposta. Ci stava. Ma capivi che non era questo che interessava al prete-inquisitore. Il confessore sembrava un afrodito: aveva di sicuro un sesso tra le gambe, ma quello più potente, ossessivo compulsivo in testa e precisamente nel cervello. E dopo qualche giro di parole (gli psicoterapeuti lo chiamano “riscaldamento”) arrivava subito al dunque: “hai commesso atti impuri?”. Se eri un ragazzo normale non potevi non averne commessi anche se più tardi Woody Allen avrebbe detto la celebre battuta: “Non parlare male della masturbazione: in quel momento stai facendo sesso con la persona che stimi di più!”. Perciò alla domanda successiva: “da solo o in compagnia? Rimanevi basito. E rimaneva basito anche chi fosse vissuto ai tempi delle case chiuse che la legge Merlin avrebbe giustamente abrogato”: con chi, quale donna o ragazza si sarebbe fatta toccare? Se perfino il “bacio colombino” era proibito, figuriamoci il resto. Adesso so che si riferiva ai “contatti fra ragazzi”. Per me – e non si offendano i gay che rispetto – non mi sarebbe passato per l’anticamera del cervello. L’identità di genere era a senso unico: che voleva l’Inquisitore? Dopo un deciso “no” da parte del penitente, il prete andava sui particolari. Pensieri cattivi? “Sì, volevo spaccare la faccia a Filippo”(niente, questo era un peccato veniale). Anzi gliel’ho proprio spaccata, gli ho fatto il sangue!”. Ma non erano questi i pensieri cattivi: era quella splendida Brigitte Bardot a seno nudo a S. Tropez, una Sophia Loren da urlo, una Gina Lollobrigida così maggiorata che i francesi cominciarono a chiamare i seni “lollò”. E quando proprio non c’era nulla da confessare il Torquemada chiedeva: Hai letto Sorrisi e Canzoni? No – rispondevo con candore – ho guardato solo le figure. E giù una sberla che faceva dire: hai litigato con qualcuno? No, sono andato a confessarmi. E mentre un prete “normale”(era il decano) ti imponeva come penitenza i soliti tre pater, Ave e Gloria, qui, l’omone passava alle vie di fatto. Chissà se le integraliste donne cattoliche confessavano di aver letto le 16 pagine consunte per il troppo uso di Lady Chatterley? C’era un bibliotecario anziano, avvocato il cui parlare rifletteva solo antiche letture. Gli chiedevi un libro. C’è? No. E questo? “Neanco”. E quest’altro? “Neanco”. Ma da allora tanta acqua è passata sotto i ponti. Ma ho finalmente capito perché i partannesi non amano la lettura, malgrado il da farsi della Biblioteca, delle sue iniziative tese a diffondere il gusto per la lettura, malgrado le scuole si affannino a creare lettori mandandoli in gita per imparare a leggere in inglese perché viene prima il companatico e poi il pane. I partannesi amano la lettura. Ci sono due o tre librerie che sono più affollate delle sale da videogames, dei pub, perfino di internet. E se qualcuno non legge, lo fa perché ha paura di commettere peccato. E capisco le istituzioni nostrane: se la gente leggesse, correrebbe il rischio di capire. Padre, ho peccato! Sorrisi e Canzoni? No. Dante. Magari il canto quinto. Qualcosa di più comprensibile? Capuana sarebbe stato adatto. Ma è stato espulso dalla scuola. Messo all’Indice. Adesso leggono tutti le scorrevoli pagine comprensibilissime di Rita Levi Montalcini. Le parole sono pietre. I nomi sono la nostra identità.
Vito Piazza