I genitori, si sa, esercitano un mestiere affascinante, ma insegnano nella scuola più impegnativa del mondo, quella che si occupa della formazione e della costruzione di persone; il loro è un impegno a tempo pieno (non ci sono giorni di riposo o di vacanza), dove la logica degli incentivi legati alla promozione o all’aumento di salario non esiste; richiede il massimo della pazienza, buon senso, capacità di coinvolgimento, una buona dose di spirito, umorismo e tatto, grande amore, tanta saggezza e conoscenze.
Un genitore sufficientemente adeguato dovrebbe essere capace di tenere distinti i propri bisogni da quelli dell’altro; essere stabile nell’esercitare il proprio ruolo genitoriale all’interno della relazione con i figli; avere un codice normativo condiviso e flessibile; tenere conto delle diversità che ogni fase evolutiva ha e contestualizzare quindi il proprio intervento educativo.
Il primo figlio della coppia costituisce il mezzo attraverso il quale gli adulti cominciano a scoprire che cosa significa essere genitori. Il primogenito è perciò il banco di prova, egli nasce e vive con persone che sono per la prima volta genitori, e riceverà pertanto un trattamento in parte differente da quello che verrà riservato ai figli che verranno dopo di lui; spetta al primogenito il compito di “educare i propri genitori”.
La neonata esperienza genitoriale risente poi di alcune influenze legate a come è stata vissuta l’esperienza del concepimento, della gravidanza e della nascita; nonché alle circostanze particolari nelle quali può trovarsi la famiglia: lo stato di salute del bambino, la relazione tra i coniugi e con le rispettive famiglie di appartenenza.
La possibilità di decidere quando avere un figlio è un fenomeno recente, che pone l’accento sulla dimensione della scelta, così oggi è sempre più raro che un bambino sia figlio della fatalità, la sua nascita non è solo voluta, ma desiderata.
È vero però che sono stabilità affettiva, sicurezza economica, realizzazione personale le certezze che oggi si cerca di raggiungere prima di mettere al mondo un figlio, tutto ciò contribuisce a una maternità e una paternità più consapevoli.
Nel passato il desiderio di paternità era legato alla possibilità di garantire la discendenza, alla necessità di assumere il ruolo che la società assegnava all’uomo adulto, cioè quello di “padre di famiglia”.
Oggi il desiderio di paternità è più legato a sentimenti, sogni, fantasie spesso inconsci; il bambino è immaginato come la parte migliore di sé, come ciò che si sarebbe voluto essere e non si è stati, qualcuno a cui potere dare tutto ciò che si sarebbe voluto avere, un sogno legato quindi più agli aspetti interiori della propria identità, che non agli aspetti sociali.
Assistiamo così sempre più spesso al fatto che siano gli uomini a esprimere con decisione il desiderio di un figlio, anche se questo li pone poi nella condizione di scontrarsi con l’incertezza attuale del ruolo paterno, la figura del padre tradizionale sembra non essere più esaustiva, non esistono più modelli forti immutabili come quello del padre autoritario del passato, che imponeva le leggi ed esigeva obbedienza.
Il nuovo padre è quindi una figura meno distante, che cerca di vivere in sintonia con la propria compagna e con i figli, maggiormente a contatto con le esperienze quotidiane dell’accudimento dei figli, questa trasformazione non è certo ancora completa, è anzi in una fase di rielaborazione, che deve misurarsi con i concetti tradizionali legati al ruolo paterno e alla virilità.
Il primo effetto lo vediamo nel coinvolgimento, oggi sempre più frequente, dell’uomo durante la gravidanza, con la partecipazione ai corsi pre-parto e al parto stesso. Questo tentativo di riformulare il ruolo del padre ha influssi e pone in atto modificazioni positive nei rapporti fra genitori e figli.
Al padre oggi viene chiesto di saper tollerare l’iniziale frustrazione di essere, in qualche modo, esterno alla coppia madre-bambino, ed anzi di continuare a partecipare alla relazione senza farsi sopraffare da sentimenti ambivalenti; di garantire con la sua presenza spazi di autonomia nella mente della madre; di favorire l’indipendenza del figlio, sia per quanto riguarda la percezione che la soddisfazione autonoma dei bisogni e desideri; di assumere la funzione normativa, di guida e di limite di realtà all’ onnipotenza, senza essere solo frustrante.
Dobbiamo ricordare che la “presenza” e l’atteggiamento dei genitori sono di importanza fondamentale per lo strutturarsi dei legami e degli affetti nel bambino.
Il cambiamento della figura e del ruolo della madre nel XXI secolo è legato all’evoluzione che la donna ha avuto nella società, ciò ha comportato una maggiore libertà di scelta e di autodeterminazione che ha investito anche la maternità. Sembra difficile tenere separato il termine madre da quello di figlio, soprattutto nella nostra società, nella quale tale rapporto tende a durare molto a lungo, anche perché all’interno della società i giovani faticano a trovare un proprio ruolo. Oggi sentirete spesso parlare di codice paterno e di codice materno, vediamo insieme in che cosa consistono:
IL CODICE PATERNO pone il principio della realtà: per crescere bisogna saper vivere nel confronto e nel rispetto degli altri; fa uscire il bambino dalla sua indifferenziazione col “codice materno”: gli permette di essere sé stesso; rappresenta quindi l’apertura sociale, la spinta a sapersi arrangiare e a saper mettere dei limiti al desiderio del piacere.
IL CODICE MATERNO è quello dell’accoglienza, del nutrimento, della soddisfazione.
Certo oggi possiamo dire che padre e madre assumono entrambi i codici “materno e paterno”, con gradazioni differenti, quindi il codice paterno non va visto in opposizione a quello materno, anzi entrambi devono integrare caratteristiche emozionali-affettive con tratti di autorità e fermezza. Se, come abbiamo visto non c’è migliore preparazione per diventare genitori che quella di camminare verso la propria maturità, occorre ricordare che l’essere padre e madre non è qualcosa di definitivo, lo si diventa continuamente e in modo diverso a seconda del periodo evolutivo che il/la figlio/a attraversano. Tenendo conto che formazione dell’individuo dipende in primis dai genitori e dal loro modo di assolvere al complesso compito educativo nel XXI secolo, non bisognerebbe dimenticare mai che, come recita un proverbio canadese, quello che i genitori possono dare ai figli consiste soltanto in due cose: radici e ali. Radici per trarre l’energia necessaria a vivere e a crescere integrandosi nell’ambiente familiare e sociale e ali per essere autonomi e liberi di volare in alto.
Marilena Pipitone